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Cultura

Fotografia e cerimonie a Napoli, un matrimonio perfetto fatto di luce e creatività

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Possiamo dire che la fotografia cerimonialistica assolve pienamente alla funzione primaria della fotografia?

Possiamo affermare che una delle missioni basilari della fotografia è brillantemente compiuta  dalla fotografia applicata alle cerimonie, gioiose, che scandiscono il tempo della nostra vita? Battesimi, Comunioni, a volte Cresime e poi Matrimoni?

Credo che senza il minimo tentennamento la risposta sia SI, la fotografia cerimonialistica è la celebrazione del ricordo e quindi  al netto di tutte le retoriche e le argomentazioni e le ragioni che si accompagnano agli usi creativi della fotografia. la fotografia di cerimonia è sicuramente uno dei settori fotografici che rispecchia in pieno e totalmente la funzione per la quale la fotografia oggi è divenuta una delle arti e mezzi e strumenti che fermando  il tempo e la storia lo rimanda al futuro, facendo conoscere il passato.

Il fotografo è invitato nella sfera privata dei protagonisti

Può sembrare ripetitivo l’evento matrimonio, i tempi sono sempre gli stessi, foto a casa della sposa, foto in chiesa, foto panoramiche e foto al ristorante, per finire con le foto alla torta e alle bomboniere, ma interpretando ognuno di essi in base alla luce, alla sensibilità dei protagonisti, ai luoghi e all’evento, ci si rende conto che ogni cerimonia è una storia singola, ognuna diversa dall’altra, ognuna con il suo inizio e la sua fine e il fotografo, benché abbia una precisa sceneggiatura da seguire nella mente, deve sempre dare spazio alla creatività, cercando di cogliere aspetti che nessun altro ha l’autorizzazione a cogliere, il fotografo diventa nel giorno del matrimonio, ma anche degli eventi precedenti, un confessore, uno psicologo, un amico, un consigliere.

Nulla può essere lasciato al caso, non si può non aver instaurato un rapporto intenso, se si vuole lasciare un ricordo fotografico del giorno, nel quale i festeggiati si ritrovino anche a distanza di anni.

La responsabilità è alta, ma i fotografi napoletani, dove sicuramente c’è la scuola più importante d’ Italia e forse del mondo, assolvono questo compito nel migliore dei modi e sono tra i più ricercati sul mercato internazionale.

Accompagnati e rispettosi delle bellezze del territorio si sviluppa un mercato unico in Italia

Napoli, al centro tra le bellezze della costiera sorrentina e delle isole di Capri e Ischia, mete da sempre preferite da giovani e facoltosi sposi internazionali ha anche offerto a queste neo coppie un parterre fotografico d’eccezione e quindi è giocoforza che oggi tanti fotografi napoletani siano chiamati all’estero nelle mete più esotiche a documentare i matrimoni e le giornate di festa che li accompagnano. Bali, Aruba, Dubai, Singapore, Beirut, sono solo alcune delle mete dove operano i nostri professionisti.

La fotografia di matrimonio nasce dallo studio fronte strada degli antichi fotografi del centro di Napoli, chiamati nel dopoguerra a produrre quelle poche foto che facessero ricordare il giorno della importante cerimonia che in genere una volta era il giorno del matrimonio o del funerale di un congiunto. Nata con la fotografia, ma esclusiva delle classi agiate è nel dopoguerra che comincia a svilupparsi il mercato cerimonialistico, quello che fino ad allora era priorità delle famiglie abbienti, comincia a diventare un rito irrinunciabile. Inizialmente si contrattava sul numero delle foto da produrre, non sulla giornata lavorativa, come in genere avviene oggi, con l’aggiunta delle spese, quindi il fotografo faceva di tutto per aumentare il numero di foto da consegnare e il numero aumentava obbligatoriamente in corso d’opera, con la cerimonia in pieno svolgimento. La tecnica era abbastanza semplice e si basava sulla felicità manifestata dagli sposi e specialmente dai parenti degli sposi, che in genere pagavano per regalo o per “contratto” le foto della cerimonia. Più si era felici, più foto supplementari si potevano aggiungere negli album.  Se nei primi anni ’50 un album fotografico consisteva nelle classiche 25 fotografie di tutta la cerimonia più le foto con gli invitati (chi poteva permetterselo), già negli anni ’70 si cominciava a contrattare per 100 foto di cerimonia più le canoniche 30 per i gruppi degli invitati, di formato più piccolo, ma complete di cartellina per omaggiarle agli ospiti intervenuti e immortalati nei loro vestiti immacolati. Nel frattempo aumentavano anche le famiglie fotografiche, si, perché fino agli anni ’80 questa ereditarietà era rigorosa e il mestiere passava da padre in figlio e da fratello a fratello. I Ruggieri, con Gabriele, Vincenzo e poi Francesco e Toty, gli Averardi, gli Armenio, i Gaita, i Laporta, con Antonio, detto Ndo’Ndo’, Carmine con i figli Mario e Salvatore. Tutti dell’area del Duomo di Napoli, vera officina di talenti e scuola per antonomasia della fotografia cerimonialistica. Da quella scuola e da quel territorio è emerso, forse il più conosciuto e popolare fotografo di matrimoni d’Italia, Oreste Pipolo, scomparso negli anni passati, ma sempre vivo nei ricordi di tutti per la sua esuberanza e per il suo stile professionale unico che si rifaceva all’antico sapere fotografico partenopeo, ma attualizzato e ammiccante alla società dello spettacolo degli anni ’80. Capace di creare icone, Pipolo sapeva leggere nella sfera sociale dei suoi clienti. Fino alla sua prematura scomparsa  è stato il punto di riferimento per intere generazioni di fotografi del matrimonio che lo hanno seguito ed assistito come le due figlie che oggi continuano la tradizione familiare e gestiscono l’archivio e lo studio in via Duomo ed è stato sicuramente un  faro per  la lettura culturale dell’evento matrimonio inteso come il giorno più importante della propria vita e spaccato sociale meridionale. Da Pipolo hanno preso spunto per servizi fotografici e televisivi Ferdinando Scianna, Domenico Iannaccone e Francesco Cito, il quale  ha fatto conoscere al mondo l’universo matrimonio napoletano vincendo il prestigioso World Press Photo indagando nei lavori non solo di Pipolo, ma anche di Salvatore Ecuba, altra rinomata firma di questo universo fotografico,  che come  Pipolo è riuscito a formare tantissimi fotografi che oggi sono   ricercati professionisti, come Stefano Cardone e molti altri, mentre  diverso è invece il percorso intrapreso   da   Alessandro Capuano che inizia il suo cammino professionale tra matrimoni e comunioni per realizzarsi oggi, dopo importanti esperienze fotografiche, come  appassionato operatore culturale, firmatario di vari progetti artistici in città e nel nord Italia.  Negli stessi anni si affermava anche Antonio Aragona, che iniziava a selezionare un bacino d’utenza diverso, non solo quello popolare dei quartieri del centro di Napoli, ma anche sondando nel ceto della media borghesia del quartiere Vomero, dove si ricercava un servizio fotografico più indirizzato alla documentazione e alla ricerca della fotografia di posa che riproducesse più verosimilmente lo scatto colto all’improvviso che quello costruito. Nei quartieri alti Foto Jaques era la summa di questa tendenza un po’ chic e forse anche snob di interpretazione della fotografia di cerimonia, lui, egregio ritrattista, lo si riconosceva dalle vetrine del suo studio in via Manzoni da dove spiccavano  gigantografie con i volti delle sue spose e dei suoi clienti,  che attiravano l’attenzione degli automobilisti imbottigliati nel  traffico della strada panoramica che si creava nei giorni festivi e prefestivi per raggiungere i belvedere della città.

Dalla massificazione inconsulta alla rinascita qualitativa

La fine degli anni ’90 e gli inizi del nuovo secolo anche con il passaggio dal formato 6cmx6cm analogico, appannaggio di tutti i fotografi professionisti del settore fino ad allora, al formato 3×2 digitale, videro l’apoteosi dei fotografi dei riti familiari. Oltre alle catene di negozi mono firma, come quelli di Francesco Errico, che ne contava almeno 3 in città e dai quali sono poi usciti varie personalità del fotocerimonialismo napoletano, il mercato assiste in quel periodo ad un fenomeno negativo, compaiono improvvisamente sul mercato centinaia di improvvisati fotografi, molti dei quali doppiolavoristi e nemmeno iscritti a nessuna associazione o elenco fiscale. La fotografia di cerimonia perse quel fascino di indagatrice interna della società, che l’aveva contraddistinta e fatta apprezzare. Tantissimi “falsi fotocerimonialisti” aiutati dall’avvento del digitale, cercavano di accaparrarsi quante più cerimonie possibili a prezzi dimezzati, rispetto alle reali spese dei fotografi autorizzati e con studio, contando anche sul beneplacito di alcuni operatori del settore che favorivano o consigliavano le loro prestazioni per ragioni parentali o meramente economiche.

Ma questo non ha scoraggiato i veri fotografi che con grande pazienza e tantissima professionalità sono riusciti a superare queste difficoltà, addirittura formando intere generazioni di nuovi operatori che nelle loro foto mettono passione, onestà, rispetto e comprensione riguardo ad un settore importantissimo della fotografia. Questo passaggio è stato molto delicato e tanto ha contribuito l’hinterland e la provincia napoletana a mantenere alta la dignità dei fotografi, pensiamo a Ciro Lauria, che da Frattamaggiore che pur con le spese di una attività commerciale fronte strada ha resistito prestandosi anche ad altre attività fotografiche come la fotografia di sport o di cronaca, stesso percorso per Salvatore Gallo a Torre Annunziata e anche di Cristoforo Acunzo a Napoli e poi i fotografi capresi, di cui accennavamo all’inizio, Foto Flash con Andrea  D’Agostino e Fabrizio D’Alessandro e gli altri studi presenti sull’isola, Foto Rosso e Foto Bianco. Anche il territorio vesuviano ha espresso e ancora detiene un potenziale fotografico invidiabile con la famiglia Gibotta dal capostipite Ciro, Canon Ambassador al giovane figlio Antonio anch’egli ambasciatore Canon e  oramai affermato fotografo internazionale vincitore di un World Press Photo. Il team Gibotta, dispone anche di  video operatori e montatori  e sono tra i più attivi sul campo cerimonialistico internazionale con numerose trasferte in ogni angolo del mondo.

Un futuro ricco di un grande passato

Il linguaggio fotografico applicato agli eventi familiari cambiava e continua a cambiare, un work in progress che tiene conto delle esigenze del cliente armonizzandole con l’estro e la professionalità del fotografo, relazionandosi anche alle sempre più presenti  e pressanti agenzie di Weddings Planner. Molti, fotografi che operano in questo settore, si esprimono al di fuori delle cerimonie nei campi che più sentono vicini e più’ vogliono esplorare, riportando poi queste esperienze nel loro lavoro commissionato. Enzo Truppo, Salvatore Scialò e Vincenzo Ferraro, uno dei cerimonialisti più impegnati e richiesto dalle giovani coppie ne sono l’esempio.

Il panorama contemporaneo è ricco e offre ampie possibilità di scelte stilistiche per gli utenti che richiedono di documentare o interpretare le cerimonie familiari. La maggior parte dei fotografi che più sono presenti sul mercato hanno curriculum importanti con approfondimenti e studi specifici in fotografia come la pattuglia che dopo aver seguito il Biennio Specialistico in Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, ha trovato interessanti sbocchi economici ed espressivi proprio nel campo dei matrimonialisti, apportando linguaggi nuovi e in linea con i desideri delle coppie di sposi. Lucia Dovere e Claudia Giglio, due ex allieve, insieme hanno ideato e portano avanti il progetto MILL Photo Studio dove hanno formato un team che comprende anche colleghi video operatori con specialisti nel pilotaggio di droni. Sempre dell’Accademia, Giuseppe Barbato e Francesca Rao, che spaziano anche nel mondo delle gallerie d’arte con le loro ricerche personali, Mary Saccardo e poi, non dal mondo accademico, ma proveniente dal fotogiornalismo c’è Daniele Veneri, corrispondente a Napoli di importanti studi nazionali e stranieri.  Le contaminazioni dei linguaggi si sono sempre riscontrate in tanti di questi professionisti, ne è esempio Carlo Falanga proveniente dalla comunicazione ed in particolare dal settore della moda dove ancora opera.

Un traguardo che apre nuove strade da esplorare

Con questa breve carrellata sui professionisti che operano nel  settore matrimonialistico si chiude il tour di 4 tappe sulla fotografia napoletana  che abbiamo intrapreso a inizio mese di agosto, forse non sarà stato un completo ed esaustivo viaggio nell’interezza  del mondo fotografico napoletano, ma ciò è dovuto proprio alla complessità del settore, sia nei termini di linguaggi che in quelli di opportunità economiche, tanti fotografi e colleghi sono ancora da scoprire e tanti da riscoprire e molte altre le discipline da indagare, nelle quali operano valenti professionisti come Massimo Velo, Luciano Pedicini e Fabio Speranza finissimi specialisti nel settore delle fotografie di documentazione delle opere d’arte delle sovraintendenze locali, e poi Pino Miraglia, Guido Giannini, Gianluigi Gargiulo Gianfranco Irlanda che seguono un loro percorso creativo sempre tesi alla ricerca e alla passione per lo strumento fotografico, come tanti sono gli appassionati e le associazioni che divulgano con i loro limiti e le loro eccellenze messaggi di educazione visiva, realtà che operano in città e di cui approfondiremo in seguito, tutte queste esperienze di diffusione della fotografia sono i pilastri per la crescita e la conoscenza di un affermata arte che è ancora tutta da scoprire.

Fotogiornalista da 35 anni, collabora con i maggiori quotidiani e periodici italiani. Ha raccontato con le immagini la caduta del muro di Berlino, Albania, Nicaragua, Palestina, Iraq, Libano, Israele, Afghanistan e Kosovo e tutti i maggiori eventi sul suolo nazionale lavorando per agenzie prestigiose come la Reuters e l’ Agence France Presse, Fondatore nel 1991 della agenzia Controluce, oggi è socio fondatore di KONTROLAB Service, una delle piu’ accreditate associazioni fotografi professionisti del panorama editoriale nazionale e internazionale, attiva in tutto il Sud Italia e presente sulla piattaforma GETTY IMAGES. Docente a contratto presso l’Accademia delle Belle Arti di Napoli., ha corsi anche presso la Scuola di Giornalismo dell’ Università Suor Orsola Benincasa e presso l’Istituto ILAS di Napoli. Attualmente oltre alle curatele di mostre fotografiche e l’organizzazione di convegni sulla fotografia è attivo nelle riprese fotografiche inerenti i backstage di importanti mostre d’arte tra le quali gli “Ospiti illustri” di Gallerie d’Italia/Palazzo Zevallos, Leonardo, Picasso, Antonello da Messina, Robert Mapplethorpe “Coreografia per una mostra” al Museo Madre di Napoli, Diario Persiano e Evidence, documentate per l’Istituto Garuzzo per le Arti Visive, rispettivamente alla Castiglia di Saluzzo e Castel Sant’Elmo a Napoli. Cura le rubriche Galleria e Pixel del quotidiano on-line Juorno.it E’ stato tra i vincitori del Nikon Photo Contest International. Ha pubblicato su tutti i maggiori quotidiani e magazines del mondo, ha all’attivo diverse pubblicazioni editoriali collettive e due libri personali, “Chetor Asti? “, dove racconta il desiderio di normalità delle popolazioni afghane in balia delle guerre e “IMMAGINI RITUALI. Penitenza e Passioni: scorci del sud Italia” che esplora le tradizioni della settimana Santa, primo volume di una ricerca sui riti tradizionali dell’Italia meridionale e insulare.

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Cambio al vertice della Scala, arriva Ortombina

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Se ne va Dominique Meyer e arriva Fortunato Ortombina, resta Riccardo Chailly fino al 2026 per poi passare il testimone, anzi la bacchetta, a Daniele Gatti: sulla futura guida della Scala “finalmente è arrivata una decisione”. “Finalmente” è l’aggettivo usato dal sindaco di Milano Giuseppe Sala in apertura della conferenza stampa con cui ha annunciato la scelta come sovrintendente di Ortombina, a conclusione di una vicenda lunga oltre un anno, andata avanti a indiscrezioni, veti, decreti legge e colpi di scena. “Una soluzione eccellente, frutto di una collaborazione istituzionale” ha detto il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, con cui inizia “una fase nuova” che segna il ritorno di un sovrintendente italiano dopo tre stranieri. “Abbiamo fatto tutto per il bene della Scala” ha assicurato Sala.

Mantovano, classe 1960, diplomato al Conservatorio di Parma, laureato in Lettere, studioso di musicologia, Ortombina è stato professore d’orchestra e corista del Regio di Parma, la lavorato all’Istituto di Studi Verdiani, e poi in vari teatri italiani prima di approdare proprio alla Scala dove è stato coordinatore artistico dal 2003 al 2007. Dal 2007 è alla Fenice di Venezia inizialmente come direttore artistico e poi dal 2017 anche come sovrintendente. Una duplice carica che probabilmente manterrà anche a Milano. Sulle sue competenze nessuno ha avuto da ridire. Forse l’unica perplessità è che “passerà dal guidare una gondola a un transatlantico”, come ha ironizzato qualcuno nei corridoi. Anche la Cgil ha riconosciuto le sue “capacità” in una nota in cui però esprime “preoccupazione” per la progettualità a lungo periodo del teatro. Ortombina al Piermarini inizierà dal primo settembre il lavoro come sovrintendente designato affiancando nella fase iniziale il sovrintendente in carica Dominique Meyer.

Il mandato del manager francese, ufficialmente partito nel giorno in cui il teatro ha chiuso per covid nel 2020, terminerà il prossimo 28 febbraio. Lui sarebbe voluto rimanere più a lungo perché, come ha detto nel marzo del 2023, dopo aver messo “a posto la Ferrari” avrebbe voluto “guidarla un po’”. Almeno un anno era la proposta uscita dall’ultimo cda. Ma dopo il confronto con il ministro Sangiuliano, alla fine gli è stato proposto di restare quattro mesi in più, fino al 1 agosto quando compirà 70 anni (una scelta, ci ha tenuto a precisare Sala, slegata dal decreto legge che prevede quella come età massima per i sovrintendenti e che per la Scala, in virtù della sua autonomia, non vale).

Meyer ha assicurato che resterà al suo posto fino alla fine del mandato, mentre rifletterà sulla proposta della proroga. Chi rimarrà fino a metà 2026 è il direttore musicale Riccardo Chailly, che inaugurerà le prossime due stagioni (il prossimo 7 dicembre con La Forza del destino e nel 2025 con Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk di Sostakovic) prima di lasciare il compito nel 2026 a Gatti. Sul suo arrivo c’è già l’accordo anche se formalmente sarà Ortombina a proporre al cda la sua nomina a direttore musicale. E dovrà essere Ortombina anche a proporre la nomina di un direttore generale, figura cancellata da Meyer ma che Sala ha consigliato al futuro sovrintendente di ripristinare. La proposta comunque non sarà fatta a questo cda, in scadenza a febbraio, ma al futuro. E anche sulla nomina dei nuovi consiglieri si giocherà una partita importante. Ma questa è un’altra storia.

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Cultura

Pompei, scoperto salone decorato ispirato alla guerra di Troia

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Un imponente salone da banchetto, dalle eleganti pareti nere, decorate con soggetti mitologici ispirati alla guerra di Troia, e’ uno degli ambienti recentemente portati alla luce durante le attivita’ di scavo in corso nell’insula 10 della Regio IX di Pompei  e oggi completamente visibile in tutta la sua maestosita’. Un ambiente raffinato nel quale intrattenersi in momenti conviviali, tra banchetti e conversazioni, in cui si respirava l’alto tenore di vita testimoniato dall’ampiezza dello spazio, dalla presenza di affreschi e mosaici databili al III stile, dalla qualita’ artistica delle pitture e dalla scelta dei soggetti. Il tema dominante sembra essere quello dell’eroismo, per le raffigurazioni di coppie di eroi e divinita’ della guerra di Troia, ma anche del fato e al tempo stesso della possibilita’, sovente non afferrata, che l’uomo ha di poter cambiare il proprio destino. Oltre a Elena e Paride, indicato in un’iscrizione greca tra le due figure con il suo altro nome “Alexandros”, appare sulle pareti del salone la figura di Cassandra, figlia di Priamo, in coppia con Apollo. Nella mitologia greca Cassandra era conosciuta per il suo dono di preveggenza e per il terribile destino che le impedisce di modificare il futuro. Nonostante la sua capacita’ di vedere oltre il presente, nessuno crede alle sue parole, a causa di una maledizione che Apollo le infligge per non essersi concessa a lui, e dunque non riuscira’ a impedire i tragici eventi della guerra di Troia, che aveva predetto. Dopo essere stata stuprata durante la presa di Troia, finira’ come schiava di Agamennone a Micene. La presenza frequente di figure mitologiche nelle pitture di ambienti di soggiorno e conviviali delle case romane aveva proprio la funzione sociale di intrattenere gli ospiti e i commensali, fornendo spunti di conversazione e riflessione sull’esistenza.

“Lo scavo nella Regio IX, progettato nell’ambito del Grande Progetto Pompei e portato avanti sotto la direzione Zuchtriegel, e’ la dimostrazione di quanto uno scavo ben fatto nella citta’ vesuviana possa continuare ad accrescere la conoscenza di uno dei luoghi piu’ importanti che ci sia pervenuto dall’antichita’. Nuove ed inedite pitture, nuovi dati sull’enorme cantiere che era Pompei al momento dell’eruzione, nuove scoperte sull’economia e sulle forme di produzione. Una messe straordinaria di dati che sta cambiando l’immagine codificata finora della citta’ antica. Un plauso a tutta la squadra interdisciplinare che con passione e professionalita’ sta portando avanti le ricerche”, ha affermato il direttore generale Musei, Massimo Osanna. “Le pareti erano nere per evitare che si vedesse il fumo delle lucerne sui muri. Qui ci si riuniva per banchettare dopo il tramonto, la luce tremolante delle lucerne faceva si’ che le immagini sembrassero muoversi, specie dopo qualche bicchiere di buon vino campano – ha sottolineato il direttore del Parco archeologico du Pompei, Gabriel Zuchtriegel – Le coppie mitiche erano spunti per parlare del passato e della vita, solo apparentemente di carattere meramente amoroso. In realta’, parlano del rapporto tra individuo e destino: Cassandra che puo’ vedere il futuro ma nessuno le crede, Apollo che si schiera con i troiani contro gli invasori greci, ma pur essendo un Dio non riesce ad assicurare la vittoria, Elena e Paride che con il loro amore politicamente scorretto sono la causa della guerra, o forse solo un pretesto, chi sa. Oggi, Elena e Paride siamo tutti noi: ogni giorno possiamo scegliere se curarci solo della nostra vita intima o di indagare come questa nostra vita si intrecci con la grande storia, pensando per esempio, oltre a guerre e politica, all’ambiente, ma anche al clima umano che stiamo creando nella nostra societa’, comunicando con gli altri dal vivo e sui social”.

Il salone misura circa 15 metri di lunghezza per sei di larghezza e si apre in un cortile che sembra essere un disimpegno di servizio, a cielo aperto, con una lunga scala che porta al primo piano, priva di decorazione. Sotto gli archi della scala e’ stato riscontrato un enorme cumulo di materiale di cantiere accantonato. Qualcuno aveva disegnato a carboncino sull’intonaco grezzo delle arcate del grande scalone, due coppie di gladiatori e quello che sembra un enorme fallo stilizzato. L’attivita’ di scavo nell’insula 10 della Regio IX e’ parte di un piu’ ampio progetto di messa in sicurezza del fronte perimetrale tra l’area scavata e non, di miglioramento dell’assetto idrogeologico, finalizzato a rendere la tutela del vasto patrimonio pompeiano (piu’ di 13 mila ambienti in 1070 unita’ abitative, oltre agli spazi pubblici e sacri) piu’ efficace e sostenibile. Lo scavo nell’area finora ha restituito due abitazioni collegate tra di loro, casa con panificio e fullonica (lavanderia), che prospettavano su via Nola e le cui facciate furono gia’ portate alla luce alla fine del ‘800. Alle spalle di queste due case, stanno emergendo in questa fase di scavo sontuosi ambienti di soggiorno affrescati, anche in questo caso interessati al momento dell’eruzione da importanti interventi di ristrutturazione

 

 

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Cronache

Tornano le visite a Bunker di Mussolini a Villa Torlonia

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Sei metri sotto i prati ormai fioriti del parco – sopra la testa quattro metri di cemento armato – trema il pavimento sotto i piedi e suonano le sirene mentre il frastuono delle bombe risuona tra le pareti curve come quelle di un sommergibile. E’ il momento più emozionante della visita al Rifugio Antiaereo e al Bunker di Villa Torlonia, a Roma, che da domani tornano aperti al pubblico. Costruiti per Mussolini, che nella tenuta lungo la via Nomentana prese la residenza nel 1929, finirono per essere usati invece dai cittadini romani per difendersi dai bombardamenti.

A lungo non visitabili, riaprono dopo due anni con un nuovo allestimento che è un viaggio nel sottosuolo della villa, ma anche nei giorni della guerra, quando la Capitale fu devastata da una pioggia di bombe. Nessuna coincidenza tra l’inaugurazione e le crisi internazionali di questi giorni, ha detto il sindaco Roberto Gualtieri: “Non credo che quando il progetto è partito ci fossero le terribili guerre che ci sono oggi – ha commentato nel corso della presentazione alla stampa – Però ricordare le tragedie della guerra è sempre importante, e oggi lo è ancora di più”. La mostra, curata da Federica Pirani e Annapaola Agati, con la collaborazione dell’assessorato capitolino alla Cultura, della Soprintendenza Capitolina e l’organizzazione di Zetema, è un’occasione per fare luce su una delle pagine più buie e drammatiche della città, colpita da 51 bombardamenti aerei tra luglio 1943 e maggio 1944. Il nuovo percorso parte da un video che racconta la vita vissuta nello sfarzo di Villa Torlonia dal dittatore fascista mentre portava l’Italia verso la guerra. Nelle sale successive, grazie ai contributi dell’istituto Luce, rivive il periodo storico dei bombardamenti. Tre sale sono dedicate alla vita nei rifugi con delle proiezioni sincronizzate.

Le due prospettive di chi bombarda e di chi è bombardato convergono in una sala dove sul pavimento sono proiettate le immagini riprese dagli aerei in azione, e sulle pareti Roma in macerie: “Il punto di vista dell’aviatore – ha spiegato la curatrice Pirani – e quello dei romani attoniti che guardano le rovine. Che sono di Roma, ma potrebbero essere quelle di Beirut, o di Jenin”. Poi, attraverso una ripida scala, si scende al bunker vero e proprio, lasciato spoglio da oggetti e proiezioni. In questo spazio è simulata una incursione aerea, attraverso la riproduzione dei suoni: sirene, aerei in avvicinamento, detonazioni, e le vibrazioni del terreno. Risalire su, al verde abbagliante della Villa in primavera, è un sollievo.

“Un luogo impegnativo, era giusto fosse accessibile, è un altro tassello del recupero dei luoghi della storia della città – ha commentato il sindaco Gualtieri – L’allestimento punta non solo a rendere conoscibile ‘filologicamente’ questo luogo ma a conoscere quelle pagine drammatiche della guerra, del fascismo e del suo capo, che è stato deposto e ci ha lasciato questo luogo, e che ha portato l’Italia nella più grande tragedia”. Fino all’orrore delle leggi razziali: “Il contrappasso della memoria vuole – ha ricordato Gualtieri – che a pochi metri da qui, sempre a Villa Torlonia, nascerà il Museo della Shoah, a memoria del più grande crimine che il regime fascista e nazista perpetrarono”. Per il via ai cantieri è solo questione di tempo: “Sono terminati i sondaggi, già c’è stata una aggiudicazione e il governo ha stanziato risorse – ha concluso il sindaco – Appena avremo il cronoprogramma lo comunicheremo”.

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