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Cronache

Epidemia, cultura e società: si “minacciano” repliche di cose già viste

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L’elaborazione culturale dell’epidemia è molto, ma molto più lenta di quella medica. Al punto che sembra di star sempre di fronte a una stessa rappresentazione, con personaggi intercambiabili e impianti scenici adattati ai mutati tempi storici. Non è solo la caccia al colpevole che viene riproposta, sia costui l’untore manzoniano o l’avvelenatore di pozzi del Pireo, come ai tempi di Tucidide. Non abbiamo certo dimenticato che fino a qualche giorno fa il tracotante Trump chiamava Covid 19 “il virus cinese”! I medici e i ricercatori –che un tempo si chiamavano filosofi- si misurano ogni volta con teorie rivali e dispute scientifiche. Girolamo Fracastoro, impossibilitato a vederlo, “intuisce” fenomenologicamente il “virus” e tenta una sintesi mirabile nel De Contagionibus del 1546.  Dal loro canto, le scene provenienti dalla Sicilia hanno provveduto a completare il topos dell’epidemia con l’attacco ai forni: in versione surreale, si capisce, come assalto ai Supermercati.

Epidemia. Quella del 1630 a Milano la raccontò anche Alessandro Manzoni ne “I Promessi sposi”:

Attendiamoci presto qualche tentativo di linciaggio del vicario di Provvisione (Promessi Sposi, Cap. XIII) che difficilmente, temo, potrà essere salvato da un Gran Cancelliere: si chiami Ferrer o Mattarella. A sua volta la scena proveniente da Roma con papa Francesco, di commovente bellezza anche per un non credente, di fascino incomparabile per i bisognosi di consolazione (tutti lo siamo, in questo momento) ha provveduto a completare un altro topos epidemico, quello dell’invocazione religiosa. A Roma il Pontefice sfida l’immensa solitudine di Piazza San Pietro mentre a Milano il cardinal Federigo, giustamente dubbioso, acconsente infine alla processione con le spoglie di San Carlo Borromeo, saldando pietas e contagio.

Ci rendiamo sempre più conto che l’epidemia è un evento incredibilmente replicativo. Pensate a Trump, certamente incompetente, pensate a Johnson e allo stesso Macron, sia pure, in un suo minor involucro di incoscienza. All’inizio fanno come lo struzzo, mettono la testa sotto la sabbia. Poi negano, decisamente. Infine eccoli nel mezzo della crisi tra paura, impotenza e coprifuoco. Ebbene, state a sentire: “Quando compare il pericolo di contagio, prima si cerca di non vederlo. Le cronache fanno apparire la negligenza delle autorità nel prendere le misure che l’imminenza del pericolo impone”. È Jean Delumeau che parla, nel suo splendido libro sulla “Paura in Occidente” apparso olte 40anni fa ma quanto mai attuale. Ma dice anche altro Delumeau. Dice che ci sono diverse ragioni perché ciò accade, ma ve n’è una che le sovrasta tutte: la paura, più o meno cosciente. La paura conduce a ritardare quanto più è possibile il momento in cui la peste si dovrà guardare in faccia. Medici e autorità cercano dunque di ingannare se stessi. Rassicurando le popolazioni, a loro volta si rassicurano”. Salvo poi, alla resa dei conti, scaricare sulla vita di tutti il peso dei propri disastri.  

*Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM

Angelo Turco, africanista, è uno studioso di teoria ed epistemologia della Geografia, professore emerito all’Università IULM di Milano, dove è stato Preside di Facoltà, Prorettore vicario e Presidente della Fondazione IULM.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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Mattarella, storia ci chiede Ue che respinga aggressioni

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La storia, con le sue tensioni e gli inimmaginabili venti di guerra, ci chiede un’assunzione di responsabilità che fino a pochi anni fa era imprevedibile: deve sapersi dotare di istituzioni nuove e della capacità di rispondere alle aggressioni che già oggi minacciano i suoi confini. Sergio Mattarella appare sempre più preoccupato per i focolai di guerra che si moltiplicano – tutti vicini al vecchio Continente – ed ancora una volta si spende per stimolare l’Europa a svegliarsi. “Il momento storico che attraversiamo richiede – ha detto il presidente della Repubblica – che le istituzioni Europee assumano responsabilità e si dotino degli strumenti necessari per consentire all’Unione di continuare a rappresentare una realtà di stabilità e progresso, in grado di influenzare positivamente il contesto internazionale e di contrapporsi con efficacia a ogni tentazione autocratica e illiberale che fosse presente nel continente e alle politiche di aggressione contro altri Stati”. Il capo dello Stato ne ha parlato in Bulgaria, uno degli Stati al confine orientale dell’Unione che più è preoccupato per le minacce russe. Per questo Mattarella, nel brindisi alle cena offerta dal presidente bulgaro Rumen Radev offre un esempio forte paragonando la Ue all’Alleanza atlantica: “oggi la NATO sta confermando la lungimiranza di un’architettura di sicurezza immaginata in un’epoca ormai lontana, che si dimostra pienamente attuale.

L’Unione Europea deve saper manifestare analoga volontà politica”. Il presidente nei suoi colloqui politici ha parlato anche di flussi migratori che tanto preoccupano anche la Bulgaria: “La nuova intesa europea su asilo ed immigrazione supera Dublino e apre la porta di una collaborazione maggiore tra i Paesi europei per affrontare un fenomeno crescente che può essere governato con ordine e non in maniera scomposta come avviene oggi”. Sergio Mattarella ha quindi aperto al nuovo Patto dell’Europa sui migranti che effettivamente supera l’accordo di Dublino – l’ultima versione era stata siglata nel lontano 2013 – ma che tante polemiche aveva scatenato a Bruxelles con diversi partiti che, pur per motivi a volte opposti, hanno votato contro il testo. Ma il piatto forte dei colloqui con il presidente bulgaro Rumen Radev è stato l’Europa e la sicurezza continentale. Ed oggi il capo dello Stato ha ribadito quanto sia importante che l’Unione europea vada avanti nel processo d’integrazione ma è anche entrato nel merito parlando di un tema emergente che sta portando avanti per la Commissione Ue l’ex premier Draghi, la competitività. “Le scelte che la Ue dovrà compiere per essere più coesa – ha spiegato il capo dello Stato – sono scelte importanti per essere sempre più protagonista. Nel prossimo vertice Ue si parlerà di competitività, un elemento che consentirà opportunità maggiori per il futuro dei nostri giovani”.

Mattarella non ha mai citato il nome di Mario Draghi, ma le consonanze sono chiare. Proprio ieri l’ex premier aveva sottolineato l’urgenza di una maggiore e rapida integrazione con queste parole: “non abbiamo il lusso di poter rinviare le decisioni, per assicurare coerenza tra i diversi strumenti per rilanciare la competitività della Ue occorre un nuovo strumento strategico per coordinare le politiche economiche”. Nei suoi colloqui in Bulgaria il presidente ha ovviamente potuto confrontarsi sui principali dossier di crisi trovanodo piena sintonia nella leadership bulgara. Ne è emersa un’analisi molto preoccupata della crisi mediorientale tanto che Mattarella non ha nascosto che “il rischio che il conflitto si allarghi è drammaticamente presente”. Per questo i due presidenti hanno voluto ricordare che l’unica soluzione di lungo periodo rimane quella dei “due popoli due Stati”. Con Sofia infine cresce la collaborazione economica (l’anno scorso l’interscambio è stato di 7 miliardi) e si rafforza anche la cooperazione militare. “Abbiamo deciso di aumentare la sicurezza del fianco orientale della Nato e abbiamo progetti comuni nell’industria bellica”, ha confermato il presidente bulgaro Rumen Radev che ha lodato anche la grande collaborazione con l’Italia in ambito Nato per difendere i confini orientali dell’Europa.

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