Un video che colloca Viviana Parisi nella sua auto con il figlio di 4 anni e la “ragionale certezza” che lui fosse con lei fino al luogo dell’incidente stradale. Sono gli elementi nuovi nell’inchiesta sulla morte della Dj di 43 anni il cui corpo e’ stato trovato nelle campagne di Caronia, sulla scomparsa di Gioele, che dopo 10 giorni ancora non si trova. E’ il procuratore di Patti, Angelo Cavallo, a fare il punto sulle indagini della squadra mobile di Messina per un quadro piu’ chiaro nella dinamica. “Iniziamo a ritenere – afferma in un primo momento il magistrato – che Gioele fosse con la madre al momento del sinistro. Al momento questa rimane un’ipotesi, ma la piu’ plausibile”. Che poi fa un’ulteriore e piu’ convinta rivelazione: “Siamo ragionevolmente sicuri che in quel momento la signora fosse ancora con il figlio”.
Ma questo, spiega il pm, non porta a privilegiare l’ipotesi omicidio-suicidio perche’ al momento “sono tantissime le tesi che restano in piedi”. In realta’ una pista privilegiata per la Procura esiste gia’, anche se prima di ufficializzarla vuole esserne prima esserne sicura. Ma elementi ci sono dai primi dati emersi dall’autopsia, che “restano al momento coperti da segreto istruttorio” .”Dalla relazione medico legale – dice il procuratore di Patti – ci aspettiamo un risposta definitiva, soddisfacente, non credo ci siano grosse incertezze”. Intanto si parte allora dalla “ragionevole certezza”: madre e figlio erano insieme quando l’Opel Corsa di Viviana Parisi, alla guida della propria auto, ha un incidente con un furgone sull’autostrada Palermo-Messina. Ma Gioele in quel momento era vivo o morto? A questo quesito puo’ contribuire a rispondere la “famiglia del nord Italia, padre, madre e due figli adolescenti” che e’ tra i primi a fermarsi per prestare soccorso. “Ha fatto un’azione meritoria” ribadisce il procuratore che rilancia il suo appello: “qualcuno di loro parli con polizia o carabinieri, non hanno alcunche’ da temere”. La loro testimonianza sottolinea il pm e’ importante: possono chiarire se Viviana “aveva il bambino in braccio o se il piccolo le camminava accanto…”.
La differenza e’ lampante: nel primo caso poteva essere gia’ morto, nel secondo ci sarebbe la certezza che Gioele era vivo. Il Pm da’ anche la descrizione dei testimoni: “lui 50enne, calvo, abbronzato, con maglietta e bermuda; lei 45enne carnagione chiara, capelli raccolti e vestito blu; i due figli adolescenti, una ragazzo e una ragazza; erano con un’auto grigia”. A fornire gli elementi sulla famiglia del ‘Nord’ sono state altre persone che si erano fermate per prestare soccorso, comprese le due che hanno telefonato al 112. Nella registrazione della chiamata raccontano di una famiglia che ha parlato di una donna e un bambino scomparsi. Per accertare la dinamica sull’accaduto la Procura ha gia’ fatto controllare la casa di Viviana e anche la sua auto. E sulla vettura “non sono state trovate tracce di sangue evidenti”. Ma approfondimenti sono in corso. “Abbiamo piu’ e piu’ volte ripercorso tutti gli itinerari possibili – conferma il procuratore – per cercare Gioele con cani non solo molecolari, ma anche con quelli specializzati nella ricerca di resti umani. E’ un luogo impervio e bisogna battere cespuglio per cespuglio”. Sui rapporti tra Viviana e il marito il pm non si aspetta grandi novita’, perche’ “il quadro familiare che emerge pare normale”.
Mentre sull’ipotesi che la donna si sia lanciata dal traliccio con bambino il Pm e’ molto scettico, “mi pare molto difficile”. Eppure in serata proprio sul traliccio e nella zona del ritrovamento del corpo di Viviana il procuratore e la polizia scientifica hanno compiuto un ulteriore sopralluogo, anche con distacco dell’energia elettrica. Si cercano le impronte della donna sul traliccio. Sembravano i prodromi di una svolta nelle indagini, che ancora e’ ferma alla “ragionevole certezza” che madre e figlio sono arrivati fino a li’. E domani il legale del marito di Viviana, Daniele Mondello, l’avvocato Pietro Venuti, annuncia andra’ in Procura a Patti per chiedere se c’e’ una svolta nell’inchiesta, ma soprattutto nelle ricerche di Gioele.
Queste sono le ultime immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza della Stazione Centrale di Milano in possesso della Procura della Repubblica di Lecco diffuse dai Carabinieri che ritraggono Edoardo Galli mentre cammina sul binario dove è giunto il treno proveniente da Morbegno e mentre transita in uscita dai tornelli di sicurezza lo scorso 21 marzo.
Dopo questi istanti – spiega la nota della Procura- non ci sono, al momento, ulteriori riprese che lo ritraggono dialogare o in compagnia di altre persone ovvero nei pressi di esercizi commerciali.
Le donne ‘camici bianchi’ della Sanità italiana ancora oggi sono spesso davanti ad un bivio, quello di dover scegliere tra famiglia e carriera. Accade soprattutto al Sud e la ragione sta essenzialmente nella mancanza di servizi a sostegno delle donne lavoratrici. A partire dalla disponibilità di asili aziendali: se ne contano solo 12 nel Meridione contro i 208 del Nord. E’ la realtà che emerge da un’indagine elaborata dal Gruppo Donne del sindacato della dirigenza medica e sanitaria Anaao-Assomed, coordinato dalla dottoressa Marlene Giugliano. “Al Sud le donne che lavorano nel Servizio sanitario nazionale devono scegliere tra famiglia e carriera e per le famiglie dei camici bianchi non c’è quasi nessun aiuto. Una situazione inaccettabile alla quale occorre porre rimedio”, denuncia il segretario regionale dell’Anaao-Assomed Campania Bruno Zuccarelli.
Nelle strutture sanitarie italiane, afferma, “abbiamo 220 asili aziendali, di cui 208 sono al Nord (23 solo in Lombardia). In Campania gli asili nido su 16 aziende ospedaliere sono solo 2: Cardarelli e Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II. Il Moscati di Avellino aveva un asilo nido che è stato chiuso con la pandemia e ad oggi il baby parking dell’Azienda Ospedaliera dei Colli è chiuso. Una condizione vergognosa e desolante”. Ma i dati raccolti dal sindacato dicono anche altro: se si guarda al personale del servizio sanitario nazionale, il 68% è costituito da donne, quasi 7 operatori su 10, con un forte sbilanciamento verso il Nord dove le donne sono il 76%, mentre al Sud solo il 50%. Un divario tra Nord e Sud, quello della sanità, che “si lega alle condizioni di difficoltà che le donne devono affrontare – aggiunge Giugliano – del resto in Campania il costo medio della retta mensile di un asilo è di 300 euro, con cifre che in alcuni casi arrivano anche a 600 euro.
E nella nostra regione c’è un posto in asili nido solo ogni 10 bambini”. Per questo le donne campane dell’Anaao chiedono di essere ascoltate dalle Istituzioni regionali, così come dalle Aziende ospedaliere e Sanitarie. Tre i punti chiave sui quali intervenire, sottolineano: “creazione di asili nido aziendali che rappresentano una forma di attenzione per le esigenze dei propri dipendenti e consentono una migliore conciliazione dei tempi casa-lavoro; sostituzione dei dirigenti in astensione obbligatoria per maternità o paternità e applicazione delle norme già esistenti, come flessibilità oraria; nomina, costituzione e funzionamento dei Comitati unici di garanzia”. Sono organismi che “prevedono compiti propositivi, consultivi e di verifica in materia di pari opportunità e di benessere organizzativo per contribuire all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico, agevolando l’efficienza e l’efficacia delle prestazioni e favorendo l’affezione al lavoro, garantendo un ambiente lavorativo nel quale sia contrastata qualsiasi forma di discriminazione”, spiega Giugliano. In regioni come la Campania, “questi organismi hanno solo un ruolo formale, cosa – conclude l’esponente sindacale – che non siamo più disposte ad accettare”.
È costituzionalmente illegittima la previsione dell’automatica rimozione dall’ordinamento giudiziario dei magistrati finiti in vicende penali culminate con la condanna, a loro carico, a una pena detentiva non sospesa. Lo ha deciso la Consulta – esaminando il caso di un giudice coinvolto in aspetti ‘secondari’ del cosiddetto ‘sistema Saguto’ – che ha accolto una questione sollevata dalle Sezioni Unite della Cassazione alle quali si è rivolto l’ex giudice Fabio Licata.
L’ex magistrato è stato condannato in via definitiva alla pena non sospesa pari a due anni e quattro mesi per falso materiale per aver apposto la firma falsa della presidente del collegio, Silvana Saguto, con il consenso di quest’ultima, ed è stato rimosso dalla magistratura. Per effetto della decisione della Consulta, il Csm “potrà ora determinare discrezionalmente la sanzione da applicare” a Licata, compresa ancora l’opzione della rimozione, “laddove ritenga che il delitto per cui è stata pronunciata condanna sia effettivamente indicativo della radicale inidoneità del magistrato incolpato a continuare a svolgere le funzioni medesime”. Saguto, anche lei radiata dalla magistratura, e ora reclusa a Rebibbia, è stata condannata in via definitiva a 7 anni e dieci mesi di reclusione per aver gestito in modo clientelare le nomine degli amministratori giudiziari dei beni confiscati alla mafia, ottenendo in cambio anche denaro.
La Corte costituzionale – con la sentenza n. 51 depositata – ha ricordato che, secondo la propria costante giurisprudenza, la condanna penale di un funzionario pubblico o di un professionista non può, da sola, determinare la sua automatica espulsione dal servizio o dall’albo professionale. Sanzioni disciplinari fisse, come la rimozione, sono anzi indiziate di illegittimità costituzionale; e in ogni caso deve essere salvaguardata la centralità della valutazione dell’organo disciplinare nell’irrogazione della sanzione che gli compete. La norma dichiarata incostituzionale, invece, ricollegava la sola sanzione della rimozione alla condanna per qualsiasi reato, purché la pena inflitta dal giudice penale superasse una certa soglia quantitativa, finendo così per spogliare il Csm di ogni margine di apprezzamento sulla sanzione da applicare nel caso concreto.
Nel caso che ha dato luogo al giudizio, il giudice penale – rileva la Consulta – aveva irrogato una severa pena detentiva non sospesa, senza poter considerare gli effetti che tale pena avrebbe necessariamente prodotto nel successivo giudizio disciplinare. In conseguenza poi dell’automatismo creato dalla norma, neppure nel giudizio disciplinare era stato possibile vagliare “la proporzionalità di una tale sanzione rispetto al reato da questi commesso, dal peculiare angolo visuale della eventuale inidoneità del magistrato a continuare a svolgere le proprie funzioni”. E ciò pur “a fronte dell’entità delle ripercussioni che l’espulsione definitiva dall’ordine giudiziario è suscettibile di produrre sui diritti fondamentali, e sull’esistenza stessa, della persona interessata”.