Il caos coronavirus e il terrore per il contagio che si sposta verso Sud ha sublimato le sue oramai autoriconosciute qualità (per il vero un po’ annacquate dai legacci della flaccida democrazia italica) di Nabucodonosor in salsa salernitana. Vincenzo De Luca, nominato da alcuni giornalisti “governatore” della Campania, ha recuperato l’immagine di politico decisionista. La trasfigurazione crozziana è quasi superata. Così come il sorpasso a destra delle eccellenti capacità piroettistiche di Matteo Salvini sono cosa fatta da tempo. Il vecchio filosofo operaista, amendoliano e bracciantista della piana del Sele e dell’agro nocerino-sarnese, corre oramai a vele spiegate verso la riconferma a candidato unico per la rielezione di capo della giunta regionale della Campania. Massì, già s’ode in giro il brusio dei cacicchi della politica locale pastinare il terreno e seminare sempre la stessa solfa: “in fondo è bravo”, “alla fine si sta comportando bene”, “meglio lui che uno qualunque”, “è uno che si fa rispettare e fa rispettare la Campania” e altre espressioni consimili.
Tra i suoi supporter c’è chi spende già il prossimo nuovo progetto politico deluchiano. Una Campania che lui, nella prossima Consiliatura, ha già in progetto di trasformare in Regno o Principato. Il suo vecchio sogno del Principato di Salerno, un po’ come quello di Monaco, date anche le similitudini geografiche ed orogenetiche, potrebbe diventare presto realtà. In queste ultime ore, con la consueta sobrietà anche legata al ruolo che riveste, De Luca ha chiuso il palazzo della Regione Campania, mandato a casa i consiglieri regionali impauriti persino dai suoi starnuti, e sta governando in maniera dispotica ma illuminata. A colpi di ordinanze. Per il bene dei campani, ovviamente. Scrive quasi due ordinanze al giorno. Le firma in diretta Facebook. Poi va in giro col suo cameraman personale (lo stesso che ha gestito i soldi delle Universiadi? A proposito l’inchiesta?) e si fa riprendere mentre ringhia contro quelli che vanno a fare la spesa, i vecchietti che girovagano per i parchi, quelli che sorridono per strada mentre altrove si muore, quelli che lasciano il confino domiciliare per andare a lavoro senza la cartuscella per auto-autorizzarsi.
Lui i campani li vuole tutti sigillati dentro casa fino al 3 aprile. Poi si vedrà. Ma se lui scrive un’ordinanza, poi vuole che la rispettino tutti. E allora ha già scritto tre volte al premier Giuseppe Conte e dodici volte al ministro dell Difesa Lorenzo Guerini perchè vorrebbe che gli mettessero a disposizione l’Esercito Italiano con i suoi blindati da schierare nelle piazze e nelle strade delle città capoluogo di provincia come segno della sua onnipotenza. Così da ridurre all’obbedienza quei cittadini che sol perchè vanno a fare la spesa sono da considerare untori e come tali puniti. Magari non fucilati sul posto come fanno in Cina (regime che De Luca apprezza per la risolutezza e il decisionismo), ma almeno con la pena dell’ergastolo, pur prevista dal nostro ordinamento in alcuni casi gravi.
Il presidente della giunta Regionale della Campania Vincenzo De Luca.
Insomma De Luca, con sobrietà e serietà istituzionale, è pronto a sconfiggere l’armata del coronavirus campano usando l’esercito della Repubblica italiana. Nel frattempo ha intimato alla Protezione civile nazionale di consegnargli le mascherine che lui ha comprato sul mercato (non sappiamo su quale mercato, ma le ha comprate) e che “la polizia dello Stato italiano ha sequestrato”. Una notizia che se fosse vera sarebbe di una gravità inaudita, ma la verità è che si tratta di una delle tante bufale messe in giro ad arte per distrarci da notizie più serie. In ogni caso speriamo solo che De Luca, in questo momento di onnipotenza, non travalichi le sue funzioni e si arrischi a firmare una dichiarazione di secessione dall’Italia, di annessione del Molise al Sannio e una dichiarazione di guerra all’Umbria con la minaccia di mandare l’esercito di Franceschiello per obbligare umbri e i cimbri a far passare i presìdi sanitari verso la Campania.
Gruppo di Governatori decisionisti. De Luca assieme a Zaia e Fontana
Vabbè, restiamo uniti e combattiamo assieme questa emergenza. Magari quando esagera De Luca non fateci caso. Sta solo giocando a fare lo sceriffo come quando era sindaco di Salerno e rincorreva le puttane che esercitavamo il meretricio nel suo Principato, minacciava i vù cumprà che vendevano senza licenza e abbatteva le capanne dei primi abitanti di Salerno accampatisi sulla costa per realizzare delle eccezionali opere pubbliche che hanno trasformato la seconda città della Campania nella Sidney d’Europa o se vi piace di più nella nuova Barcellona del Mediterraneo.
Su una cosa, però, De Luca (quello vero, non Crozza) ha ragione: il momento è serio e i cittadini campani dovrebbero dimostrarsi più seri nel rispettare le norme varate dal Governo per frenare il contagio. Tutte le ordinanze che scrive De Luca prevedono cose già scritte nei Decreti del Presidente del Consiglio. Solo che lui quando se le vende come sue e ringhia che bisogna farle rispettare ha ragione. Le norme devono essere rispettate.
Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.
Acquista online un pacco di figurine e gli spediscono anche eroina: è accaduto a Pompei. L’uomo -un professionista-quando ha visto quelle due buste contenti polvere bianca ha capito che qualcosa non andava ed ha avvisto i carabinieri, il carico di droga è stato sequestrato. Ma ecco come è andata: nel cuore della mattinata, un 43enne ha suonato alla porta della stazione dei Carabinieri.
Un professionista, incensurato, col volto pallido. Tra le mani una scatola imballata. Qualche giorno prima – ha raccontato ai militari – aveva acquistato su un portale online un box di 50 figurine di calciatori.
Quando si è ritrovato ad aprire il pacco non ha trovato solo i volti dei campioni del calcio. ma anche due buste di cellophane sigillate contenenti polvere bianca. Quella roba aveva un’aria sospetta. Così si è lanciato in auto fino ai Carabinieri, con la speranza di non essere fermato da qualche pattuglia durante il tragitto. Sapeva in cuor suo che la scusa dell’acquisto online non avrebbe retto e sarebbe sicuramente finito nei guai.
Ebbene, i militari hanno preso in consegna il pacco e analizzato la sostanza all’interno con un narcotest. Poteva essere bicarbonato o farina e invece era eroina. Pura. 180 grammi di stupefacente, un carico del valore di diverse migliaia di euro.
La droga è stata sequestrata ma continuano le indagini per risalire al “negoziante” sbadato. E soprattutto a quel pusher che dovrà attendere per riprendere la venduta.
Non è la prima volta che accade. Il 2023 era iniziato da pochi giorni quando un acquisto inaspettato si trasformò in un fenomeno mediatico. Un uomo acquistò sul web una scena campestre da aggiungere al presepe. Nel “pacco”, però, arrivò un carico di 10 chili di erba. Non quella per abbellire le rocce di Betlemme ma marijuana pronta per essere dosata e venduta.
Allo stupore per l’errore evidente, si aggiunse una domanda più che lecita: “Chi avrà ricevuto i due pastori invece del carico di droga?”
Era estate quando arrivò la telefonata che ogni cronista aspettava: la Dia, la Direzione investigativa antimafia di Napoli aveva arrestato Francesco Schiavone, detto Sandokan. Allora era il capo del clan dei Casalesi, una delle più potenti cosche criminali del Paese. Era un sabato, l’11 luglio del 1998.
Ero stata nel covo di Carmine Alfieri, nel Nolano, dove il boss della Nuova Famiglia viveva in un rifugio dove si accedeva attraverso una botola e conservava nel frigorifero babà e salmone, non potevo mancare di entrare nel bunker del boss a Casal di Principe. Con gli uomini della Dia, all’epoca dei fatti guidata da Francesco Cirillo (poi arrivato ai vertici della Polizia di Stato, vice capo della Polizia), arrivammo sul posto. Una delle tante case della zona di Casale. Viveva sotto terra il potente padrino dei Casalesi.
Bisognava infilarsi in un cunicolo e poi c’era una specie di “vagoncino” che viaggiava su binari: così si arrivava al nascondiglio segreto di Sandokan. Uno stanzone spoglio dove dipingeva soggetti sacri e guardava film come il Padrino di Francis Ford Coppola. Fu così che si scoprì che nell’Agro Aversano il boss e i suoi compari, ma anche i suoi familiari, utilizzavano cunicoli e botole per incontrarsi e parlarsi.
Altro che Gaza e Hamas di questi giorni, 30 anni fa, in quella zona tra il Napoletano e il Casertano, la mafia casalese realizzò decine di cunicoli sotto terra per nascondersi o per sfuggire alle retate.
Qualche volta sottoterra, qualche altra volta passavano attraverso i sottotetti: in moltissime abitazioni, anche di insospettabili incensurati sono stati trovati piccoli bunker, locali nascosti anche ad occhi più esperti. Intercapedini ricavate nei ripostigli nelle cucine dove trascorrevano la latitanza i boss e i gregari.
Francesco Schiavone detto Sandokan. È stato il primo padrino dei casalesi a manovrare sindaci e piegare istituzioni agli interessi del clan
Il pentimento di Francesco Schiavone è una vittoria dello Stato: a 70 anni, e dopo oltre un quarto di secolo in carcere, dopo la decisione di collaborare con la giustizia di due dei suoi figli, anche Sandokan, barba e capelli grigi, stanco e invecchiato ha fatto il salto, confermato dalla Direzione Nazionale Antimafia. Adesso sarà interessante capire quello che potrà raccontare: dall’affare rifiuti che aveva il suo epicentro proprio nell’Agro Aversano ai collegamenti con gli imprenditori anche del Nord; dagli affari con i colletti bianchi, con i politici non solo locali (nel ’90 era stato arrestato a casa di un sindaco della zona) ai rapporti e alle connivenze in mezzo mondo, ed anche i collegamenti, veri o presunti, con i terroristi, quelli di Al Qaida e non solo.
Insomma potrebbe esserci un nuovo terremoto giudiziario se davvero decidesse di vuotare finalmente il sacco, senza se e senza ma, e questo anche se gli anni sono passati e di molte vicende si è ormai quasi perso il ricordo. Adesso bisognerà anche capire quali familiari andranno in località segrete: sua moglie Giuseppina, insegnante, per esempio lo seguirà?.
Il primo della famiglia a pentirsi fu suo cugino Carmine Schiavone: non dimenticherò mai la giornata trascorsa a girare per Casal di Principe per cercare di parlare con sua figlia che non aveva voluto seguire il padre, anzi. Pioveva, nessuno per strada, incontrai Giuseppina che aveva scritto una lettera a suo padre per dirgli la sua disapprovazione per aver deciso di collaborare con la giustizia. Non volle venire in macchina con me e la troupe e allora la seguimmo, un lungo giro fino a casa dove nonostante un piccolo camino acceso faceva tanto freddo. Quella storia era il fatto più importante del giorno: ci ‘aprimmo’ il TG5. Nulla faceva pensare che proprio Francesco Schiavone si sarebbe poi deciso a collaborare. Ma il clan è ormai decimato tra arresti e omicidi tra le fazioni, la lunga detenzione, un tumore diagnosticatogli alcuni anni fa, hanno probabilmente fiaccato il vecchio boss. E adesso tanti misteri forse potranno essere chiariti.
L’avvio del percorso di collaborazione da parte di Francesco Schiavone, soprannominato ‘Sandokan’, viene confermato dalla Direzione nazionale Antimafia. Secondo quanto si apprende la decisione sarebbe maturata nelle ultime settimane, durante le quali la Dna e la Dda di Napoli hanno svolto un lavoro con la massima discrezione. Schiavone è stato arrestato nel luglio del 1998 e da allora è recluso al regime del 41 bis. Anche due suoi figli, Nicola e Walter, hanno avviato alcuni anni fa lo stesso percorso ora intrapreso dal padre.
Schiavone fu arrestato nel 1998 e condannato all’ergastolo nel maxi processo Spartacus e per diversi omicidi; prima di lui hanno deciso di pentirsi il figlio primogenito Nicola, nel 2018, quindi nel 2021 il secondo figlio Walter. Restano in carcere gli altri figli Emanuele Libero, che uscirà di cella ad agosto prossimo, e Carmine, mentre la moglie di Sandokan, Giuseppina Nappa, non è a Casal di Principe. La decisione di Sandokan potrebbe anche essere un messaggio a qualcuno a non provare a riorganizzare il clan, un modo per mettere una pietra tombale sulle aspirazioni di altri possibili successori. La collaborazione di Francesco Schiavone potrebbe far luce su alcuni misteri irrisolti, come l’uccisione in Brasile nel 1988 del fondatore del clan Antonio Bardellino, o sugli intrecci tra camorra e politica.
L’avvio del percorso di collaborazione da parte di Francesco Schiavone, soprannominato ‘Sandokan’, viene confermato dalla Direzione nazionale Antimafia. Secondo quanto si apprende la decisione sarebbe maturata nelle ultime settimane, durante le quali la Dna e la Dda di Napoli hanno svolto un lavoro con la massima discrezione. Schiavone è stato arrestato nel luglio del 1998 e da allora è recluso al regime del 41 bis. Anche due suoi figli, Nicola e Walter, hanno avviato alcuni anni fa lo stesso percorso ora intrapreso dal padre.