Niente è più femminista del femminile. Ne sono convinte Miuccia Prada e Silvia Venturini Fendi, che oggi a Milano hanno portato in passerella donne libere di giocare con i cliche’ del femminile, di riconoscere la loro forza nella delicatezza e nella leggerezza, di spogliarsi delle imposizioni e delle censure. “Questa e’ una collezione fatta d’istinto, con la volonta’ di fare qualcosa di utile, che avesse un senso” premette Miuccia Prada, che vede nell’allestimento della sala della sfilata una metafora della condizione femminile: al centro una scultura di Atlante che regge il mondo sulle spalle, sulle pareti la leggerezza dei fiori. “Volevo rappresentare la forza delle donne: leggerezza, delicatezza, glamour, queste caratteristiche femminili – spiega la stilista – sono la vera forza delle donne”. E se il potere si puo’ trovare nel piacere, il glamour – con il suo ottimismo – diventa qualcosa di utile, per trasformare il quotidiano da pratico a estetico. Ed eccoli i cliche’ del femminile, le frange, i ricami, gli spacchi, le trasparenze, i tacchi, i trucchi, le pellicce, che si abbinano e ai tailleur austeri, alle camicie con cravatta, ai cappotti dalle spalle grandi, ai giubbini di nylon stretti in vita da onnipresenti cinture che disegnano linee a clessidra. E’ in questo contrasto che la delicatezza diventa forza: cosi’ la gonna con le pieghe destrutturate e aperte si accompagna al blazer dalla linea over, la sottana trasparente con la camicia con la cravatta, la tunica di rete sportiva con le decollete’ in vernice. E nello stesso capo convivono linee e tessuti maschili e dettagli iperfemminili, come nel cappotto nero tutto ricoperto di frange, che tornano sull’abito in lana grigio con le pieghe o nei maglioni di lana grossa lavorata a trecce.
Per rallegrare una giornata di pioggia, gli stivaloni rosa o celeste, da mettere con il giubbino di nylon e la gonna glam. Al polso, astucci portarossetto, al collo medaglioni per un ritocco veloce al trucco, in mano borse gioiello decorate di passamanerie. Per Silvia Venturini Fendi, il fatto e’ che oggi, “essendo tutte donne forti, possiamo riappropriarci dei codici e dei luoghi comuni del guardaroba femminile, non abbiamo piu’ bisogno dei codici maschili per essere ascoltate”. Anzi, aggiunge la stilista, “oggi e’ sovversivo recuperare i codici femminili: femminile e femminista sono concetti che insieme si rafforzano”. Sognando il giorno in cui “le donne di potere saranno vestite in chiffon rosa e non in grisaglia”, Silvia porta in passerella la sua rivoluzione, per donne di ogni eta’ e taglia, perche’ anche da qui passa la riaffermazione dell’identita’ femminile. Ed ecco questi cliche’ di cui riappropriarsi con fierezza, “cosi’ come oggi ci sono giovani donne che fanno una questione politica dell’avere qualche chilo in piu'”. E allora via libera al rosa e al pizzo, alle giarrettiere e alle calze velate, ai gioielli e alle trasparenze, tutto ovviamente filtrato e abbinato a contrasto con tessuti ruvidi e linee scultoree. Cosi’ la giarrettiera diventa il cinturino della decollete’, il maculato da panterona si ingentilisce nel paisley del visone rasato e ricamato in velluto, i gioielli (creati in collaborazione con Chaos) sono ipertecnologici, dall’orecchino-penna alla custodia per lo smartphone. L’abito rosa boudoir ha le maniche scultoree, la sottoveste di pizzo ha una banda nera sul seno come la censura di Instagram, la camicia-camice ha il collo a sciarpa foderato di pizzo, le scollature ricordano il buco di una serratura, persino la giacca di flanella ha impunture che segnano il seno e stecche che sottolineano il punto vita.
“Siamo diventati una civiltà di gente che vuol vedere, non sente più, sente male, per mancanza di conoscenza, per ignoranza”. Polemico, anche se “felice di essere qui con i miei giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini”, Riccardo Muti ieri sera al Teatro Pergolesi di Jesi, in provincia di Ancona, ha inaugurato le celebrazioni per i 250 anni dalla nascita (avvenuta nella vicina Maiolati) di Gaspare Spontini, con un concerto al termine del quale ha attaccato l’oblio in cui è caduta tanta parte del patrimonio musicale italiano. Un discorso molto politico, “anche se la politica dal podio non si fa”, diretto soprattutto “a chi ha in mano le sorti del nostro Paese” per chiedere più attenzione per la musica, lungo oltre 20 minuti, punteggiato dagli applausi del pubblico.
La musica italiana “ha dominato il mondo con Spontini a Berlino, Mercadante a Madrid, Cherubini a Parigi, Salieri e, ancora prima, Porpora e a Vienna, Cimarosa e Paisiello a San Pietroburgo. I nostri compositori hanno fatto l’Europa, prima dei nostri politici ed economisti”. Muti ha elogiato le Marche, una regione che “ha dato i natali a tantissimi artisti, non solo nel campo dell’architettura e della pittura, ma anche della musica. Voi avete a distanza di pochi chilometri Giovan Battista Pergolesi (nato proprio a Jesi, ndr) e Spontini”. E ha elogiato le due città che “si stanno prodigando per sottolineare l’importanza di questi due giganti della musica”, ma “molte persone non sanno chi sono e questa è una vergogna per noi”. Perché “la musica italiana non è semplicemente l’espressione sguaiata di note acute tenute all’infinito, ma la nostra storia è una storia di nobili e grandi compositori”. Compositori che “hanno fatto l’Europa prima dei nostri politici ed economisti”.
“Pensate che Spontini era un re prima a Parigi e poi a Berlino – ha detto ancora Muti -, e nelle memorie di Wagner si legge che quando Spontini arrivò a Dresda per dirigere La Vestale scese da una carrozza principesca venendo da un’umile casa di Maiolati. Wagner s’inginocchia addirittura davanti a lui”. Due colossi della musica “dimenticati”: “Pergolesi era ammiratissimo da Bach, all’età di 26 anni muore lasciandoci dei capolavori incredibili”. Capolavori raramente eseguiti e lo stesso accade per La Vestale o l’Agnese di Hohenstaufen di Spontini o altre opere. “Va bene il ‘Vincerò’ che dura mezz’ora ed è anche piacevole – ha ironizzato il maestro – ma non rappresenta tutta la nostra musica”. E “se andate a vedere la partitura di Puccini, non esprime ‘ad libitum’ fino a quando tutti quanti, presi da frenetici orgasmi, urlano uau”. “Cosa è successo al nostro Paese? – si è chiesto Muti -. E’ successo che nelle grandi occasioni ci si veste bene, si compare nei palchi e poi si scompare? O dobbiamo metterci in testa che la musica e la storia della musica insegnata bene e portata alle nuove generazioni possa migliorare il futuro del nostro Paese?”.
Tutto queste però “non succede” e per questo il pubblico non sa più ascoltare. “Noi abbiamo in debito verso il nostro passato – si è accalorato -, abbiamo una storia infinita di bellezza e arte che molti ragazzi oggi non conoscono e che sta diventando solamente un’occasione di ascolto per alcuni privilegiati. Non sono un politico, ma con grande malinconia mi avvicino alla fine della vita perché noi non siamo più degni delle radici su cui abbiamo fatto spuntare fiori, o alberi o foglie”. “Verdi rimane il Michelangelo del musica e ha coperto tutto l’Ottocento”. E anche Puccini è rappresentativo di un certo periodo. Ma “quando Spontini scrive la Vestale, dentro c’è tutto quello che poi Wagner prenderà. Questo siamo e questo dovrebbero sapere quelli che guidano l’Italia e questo dovrebbero insegnare a scuola”.
“È andata così. E preferisco raccontarvelo io, come ho fatto con tutti i miei amici, prima che possa trapelare e diventare l’ennesimo pettegolezzo sterile. La nostra storia è ufficialmente conclusa. Non è la fine del mondo. Non è un massacro. Non è un fallimento, se non lo vogliamo. È un lutto: si passa attraverso il dolore, ma poi il dolore passa. E diventa un dono, esperienza, saggezza. Per ora, speranza”.
Lo scrive Tiziano Ferro, ufficializzando sui social la fine del matrimonio con Victor Allen, il compagno con cui era sposato dal giugno del 2019, prima della separazione nel settembre dello scorso anno. “Quindi grazie vita! Grazie Dio – prosegue il cantante -. Grazie amici miei. Grazie a chi mi ha salvato sul ciglio del burrone. Grazie a chi ha abbandonato la nave mentre affondava. Grazie cucciolotti miei, donatori di vita eterna… grazie Vic. Sfoglio l’ultima pagina, mentre mi accorgo che sto già scrivendo un capitolo nuovo. Quindi sorrido: buona ricostruzione, Tiziano!”
“Agli Oscar era possibile vincere. Purtroppo la campagna non è andata come doveva andare, non abbiamo avuto il distributore americano giusto che ha investito quello che andava investito e poi, soprattutto, nessuno ci ha detto che si poteva correre in tutte le categorie. Una cosa che fa la differenza perché è una gara in cui non tutti partono alla pari. Se corri per tutte le categorie hai come votanti tutti i diecimila dell’Academy, mentre per la categoria miglior film straniero a votare sono solo in mille”. Così al Bif&st Matteo Garrone si toglie qualche sassolino dalle scarpe dopo la sconfitta di Io Capitano agli Oscar.
Il regista ha tenuto una master-class al Teatro Petruzzelli dopo la proiezione di Io capitano che ha appena corso agli Oscar nella categoria film Internazionali dove ha poi vinto La zona d’interesse del regista inglese Jonhathan Glazer. “Gli inglesi votanti sono poi ben novecento, mentre gli italiani poco più di cento – ha spiegato -. Correre per tutte le categorie ci avrebbe dato più chance”.