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Conte sfida Rutte, asse con Macron per intesa subito

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I leader europei tornano a riunirsi a Bruxelles dopo la pandemia che li ha tenuti lontani da febbraio, ma la vicinanza fisica non riduce la distanza che ancora li separa sulla strategia per la ripresa dalla crisi post-Covid. “Siamo al rush finale, affiliamo le armi”, scherza il premier Giuseppe Conte prima di incontrare in serata Emmanuel Macron, per rinnovare una “forte intesa” nella direzione di una “risposta ambiziosa” e immediata. “E’ fuori dalle regole” la pretesa di avere il veto sui piani di riforme dei singoli Paesi, come vorrebbe Mark Rutte, dice il premier italiano, sfidando le resistenze del collega olandese. Affila le armi Conte e affilano le armi gli altri 26 leader europei: l’Olanda e i frugali irremovibili sulla riduzione dei 750 miliardi del Recovery fund, il Sud determinato a difenderli, i Visegrad ad accaparrarsene una fetta maggiore. Conte arriva a Bruxelles alla vigilia del vertice che lo stesso presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito “decisivo”. E batte sul tasto della necessita’ di non farne una partita “contabile”, non un “dare e avere”, ma una sfida politica con una visione: “In gioco c’e’ l’Europa, una pronta ripresa e la competitivita’ nel mondo globale, con la Cina e gli Stati Uniti”, ribadisce il premier. La partita e’ difficilissima: i Paesi frugali sono assai agguerriti, confermano fonti di Palazzo Chigi. L’arma dell’Italia, nel negoziato, e’ anche la discussione in contemporanea del Bilancio pluriennale, che contiene i “rebates”, fondi cari ai Paesi frugali. Le decisioni vanno prese all’unanimita’, percio’ Conte ha la possibilita’ di porre di fatto un “veto”, tenendo aperto il negoziato finche’ non si raggiungera’ una soluzione accettabile, che non “immiserisca” il progetto di Next Generation Eu. Per tenere alte le ambizioni, il presidente del Consiglio cerca di rinnovare l’asse con Macron che porto’, all’inizio dell’emergenza Coronavirus, nove Paesi europei a firmare una lettera in cui si chiedevano gli Eurobond. I due leader ne discutono per quasi un’ora, in una saletta di un albergo di Avenue Louise a Bruxelles. La delegazione italiana assicura che c’e’ “grande sintonia”. Macron, come Merkel, difende i 500 miliardi di risorse a fondo perduto del progetto di Recovery fund, mentre e’ pronto a cedere qualcosa sui 250 miliardi di prestiti. Conte arriva a Bruxelles determinato a raggiungere il miglior risultato possibile e, perche’ no, chiudere il negoziato – impresa difficilissima – gia’ questa settimana. Come se non fosse gia’ complicata la battaglia sulle cifre, a togliere speranze alla possibilita’ di un rapido accordo se ne aggiungono almeno altre due: quella sulla cosiddetta ‘governance’, cioe’ chi approvera’ i piani di rilancio preparati dai Paesi, e quella sulla condizionalita’ legata allo stato di diritto, cioe’ i fondi li avra’solo chi rispetta leggi e valori europei. Ungheria e Polonia minacciano il veto sulla seconda, perche’ hanno in corso procedure proprio per il mancato rispetto dello stato di diritto. L’Olanda ha gia’ minacciato barricate sulla prima, perche’ vuole voce in capitolo sui programmi di rilancio di ciascuno. “E’ una richiesta non in linea con le regole europee”, taglia corto Conte. Paradossalmente, il negoziato sui numeri del Recovery e del prossimo bilancio pluriennale sembra al momento il piu’ semplice.

Il presidente del Consiglio europeo Charles Michel, che tornera’ a fare gli onori di casa e guidera’ la riunione che ha un orario d’inizio ma non quello di fine, ha proposto di mantenere intatti i 500 miliardi di sovvenzioni e i 250 di prestiti proposti dalla Commissione. L’Italia, con Spagna, Portogallo, Francia e altri, difendera’ le cifre il piu’ possibile, soprattutto quelle dei trasferimenti a fondo perduto. L’obiettivo per Roma e’ portare a casa quasi per intero quegli 81,8 miliardi di sussidi che le ha assegnato la von der Leyen, e se durante il negoziato fosse costretta a cedere qualcosa, certamente cederebbe sul fronte di alcuni singoli programmi (come il Just Transition o gli aiuti umanitari) ma non sulla parte riservata ai piani di rilancio, cioe’ la Recovery and resilience Facility.

Mark Rutte. Premier olandese

Nemici su questo fronte sono i frugali, cioe’ Olanda, Danimarca, Svezia e Austria, che vogliono invece vedere ridotta soprattutto quella parte. Ma l’ostacolo maggiore, su cui l’Italia non e’ disposta a cedere nulla, e’ quello della governance. La Commissione aveva proposto di approvare lei stessa i piani di rilancio e gli esborsi delle diverse tranche di sovvenzioni. Michel, accogliendo una proposta tedesca, ha invece spostato l’onere – e quindi il controllo sui piani nazionali – sul Consiglio, che li deve approvare a maggioranza qualificata. All’Olanda non basta: chiede l’unanimita’, perche’ vuole avere possibilita’ di veto. Nonostante sia isolata sulla richiesta, si siedera’ al tavolo senza accennare a cedimenti. Il secondo grande ostacolo che potrebbe mandare a monte il vertice, costringendo i leader a riunirsi di nuovo la prossima settimana, e’ la condizionalita’ sullo stato di diritto. Il premier ungherese Viktor Orban ha chiesto non solo di eliminare il legame tra fondi e rispetto delle regole democratiche, ma anche un impegno a modificare in futuro l’articolo 7 del Trattato, ovvero quello che consente all’Ue di sanzionare un membro che non rispetta i valori comuni. Una proposta talmente inaccettabile che molti si chiedono se non sia una strategia per ottenere altro. Non sarebbe l’unico. Nessuno, alla vigilia del vertice, ha scoperto le carte negoziali ma solo ribadito le linee rosse. Per questo, per facilitare il confronto, Conte ha sentito in giornata Orban, l’austriaco Kurz, il ceco Babis e la finlandese Marin: “Confrontiamoci duramente, lavoriamo meticolosamente sui dettagli, ma non perdiamo di vista la prospettiva e la visione politica che guida la nostra azione. E’ il tempo della responsabilita’”, ripete il premier a tutti i suoi interlocutori.

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Cina: infondate le accuse Usa di supporto militare a Mosca

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La Cina ha definito “infondate le accuse degli Usa sul sostegno militare” di Pechino alla Russia, impegnata nella sua guerra contro l’Ucraina. E’ quanto ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, nell’imminenza della visita del segretario di Stato americano Antony Blinken.

Gli Stati Uniti, ha aggiunto Wang nel briefing quotidiano, “hanno presentato una legge sugli aiuti su larga scala per l’Ucraina, lanciando allo stesso tempo accuse infondate contro il normale commercio tra Cina e Russia. Questo tipo di approccio è estremamente ipocrita e del tutto irresponsabile, e la Cina vi si oppone con fermezza”. Sulla questione ucraina, “la Cina ha sempre mantenuto una posizione obiettiva e giusta, ha sostenuto attivamente i colloqui di pace e ha spinto per la soluzione politica”, ha rincarato Wang, per il quale Pechino “implementa costantemente le normative sull’esportazione di beni a duplice uso.

La Cina non è né artefice né parte della crisi ucraina e non ha mai gettato benzina sul fuoco e per questo con accetteremo che altri scarichino la responsabilità o diano la colpa a noi”. Negli ultimi anni, in particolare dall’aggressione di Mosca all’Ucraina di febbraio 2022, Cina e Russia hanno intensificato la cooperazione economica e i contatti diplomatici, portando la loro partnership strategica a livelli elevati, mai raggiunti prima. Pechino ha rivendicato un ruolo neutrale nel conflitto ucraino, ma evitato condanne di Mosca e ha offerto sostegno diplomatico ed economico, facendo schizzare l’interscambio commerciale nel 2023 al record di 240 miliardi di dollari.

Prima dell’imminente visita in Cina del 24-26 aprile, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che Pechino sta indirettamente alimentando la guerra in Ucraina con la fornitura di componenti a Mosca usati per espandere le sue capacità militari. “Quando si tratta della base industriale della difesa russa, il principale contributore in questo momento è la Cina”, ha detto Blinken venerdì, dopo l’incontro ministeriale del G7 a Capri, aggiungendo che ciò “permette alla Russia di continuare l’aggressione contro l’Ucraina”.

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Musk rifiuta di eliminare da X video dell’attacco a Sidney

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Elon Musk ha reagito all’ordine di un tribunale australiano di eliminare da X i video dell’attacco nella chiesa di Sidney dopo che il commissario per la eSafety dell’Australia ha chiesto un’ingiunzione. Il miliardario patron di Tesla ha risposto con un post sulla sua piattaforma accusando il premier Anthony Albanese di “censura”. “La nostra preoccupazione è che se qualsiasi Paese è autorizzato a censurare i contenuti di tutti i paesi, allora cosa impedirà a qualsiasi paese di controllare Internet?”

Musk ha detto che X farà appello contro l’ingiunzione australiana. “Abbiamo già censurato il contenuto in questione per l’Australia, in attesa di ricorso legale, ed è archiviato solo su server negli Stati Uniti”, ha aggiunto. Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha affermato che Musk è cieco di fronte all’angoscia causata dai video. “Faremo ciò che è necessario per affrontare questo miliardario arrogante che pensa di essere al di sopra della legge, ma anche al di sopra della comune decenza”, ha detto Albanese all’emittente pubblica Abc. “L’idea che qualcuno vada in tribunale per il diritto di pubblicare contenuti violenti su una piattaforma mostra quanto il signor Musk sia fuori dal mondo”, ha aggiunto.

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L’ambientalista indigeno Victorio Dariquebe assassinato nell’Amazzonia peruviana

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Un ambientalista indigeno, Victorio Dariquebe, è stato assassinato in una comunità amazzonica del Perù sudorientale dove lavorava come guardia forestale: lo riferiscono le autorità locali. L’uomo, dell’etnia Harakbut-Wachiperi, è stato aggredito nei pressi della riserva naturale di Amarakaeri, nella provincia di Manú.

“Riaffermiamo il nostro impegno affinché questo crimine non rimanga impunito e i responsabili siano individuati e ricevano tutto il peso della legge”, ha affermato il governo peruviano in una dichiarazione firmata da diversi ministeri. L’ambientalista “ha fatto un ottimo lavoro nella conservazione della riserva di Amarakaeri”, ha sottolineato l’Associazione interetnica della giungla peruviana (Aidesep) in un comunicato sui social, secondo cui Dariquebe “aveva ricevuto minacce”.

I popoli originari del Perù combattono l’estrazione illegale e si oppongono a una recente legge approvata dal Congresso che, a loro avviso, incoraggia la deforestazione. Secondo l’ong Global Witness, dal 2012 nel Paese sono stati uccisi almeno 54 difensori delle terre e dell’ambiente, di cui più della metà appartenevano a popolazioni indigene.

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