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“Commissariate la sanità lombarda”, Milano 2030 ha già raccolto 80mila firme

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Viaggia versi le 80mila firme la petizione online per il commissariamento della sanità lombarda, lanciata qualche giorno fa da Milano 2030, rete di associazioni e partiti della sinistra milanese, insieme ad un gruppo di lavoro formato da medici, scienziati ed esperti di sanità. “A fronte del palese fallimento della gestione dell’emergenza Coronavirus – spiega Elena Comelli, portavoce di SinistraXMIlano e una delle promotrici della rete Milano 2030 – abbiamo pensato alla nomina di un commissario ad acta per la sanità regionale, un’ipotesi inesplorata nella storia repubblicana, ma prevista dall’articolo 120 della Costituzione”.

Sarebbero due le strade percorribili, che starebbero emergendo dal confronto con giuristi e costituzionalisti. “La prima possibilità è l’iniziativa diretta del primo ministro o del ministro competente, che auspicheremmo ma ci appare assai improbabile; l’altra prevederebbe una richiesta dal basso che dovrebbe essere sostenuta anche da esponenti degli enti locali, nella fattispecie ovviamente non la Regione, ma sindaci ed altri amministratori locali. Stiamo approfondendo la questione con esperti del diritto, perché non vogliamo che resti solo un’idea data in pasto al web per raccogliere consensi, non è questo che ci interessa”, chiarisce Comelli.

Per comprendere i gravi errori della politica regionale nella gestione dell’emergenza, dal dramma consumatosi nelle RSA (su cui indaga la magistratura), al sovraccarico degli ospedali, che hanno fatto della Lombardia la regione con più morti Covid al mondo, bisogna fare un passo indietro e analizzare il modello sanitario lombardo nel suo complesso.

“La sanità lombarda è in gran parte privata: circa il 40% della spesa sanitaria corrente della Regione è destinato alle strutture private accreditate. L’obiettivo del privato è trarre profitto, distribuire dividendi agli azionisti. Più malati ci sono, più cure bisogna dispensare, maggiore è il profitto”, spiega Vittorio Agnoletto, medico del lavoro, attivista, fondatore della Lega Italiana per la Lotta contro l’Aids nel 1987 e docente di Globalizzazione e Politiche della Salute all’Università di Milano.

Ecco il primo punto fondamentale. Il privato investe sugli ospedali, puntando sulla medicina curativa in quei settori che consentono maggiori profitti: patologie croniche, chirurgia, cardiologia. La prevenzione non rientra fra gli obiettivi della sanità privata. Per Agnoletto “Il problema è che il servizio sanitario pubblico ha introiettato criteri, principi e valori del privato; in Lombardia non c’è più una cultura della sanità pubblica. Tutto ciò che concerne la prevenzione e la medicina territoriale è ormai considerato medicina di serie zeta”.

Quando il virus si è battuto sulla Lombardia, il sistema sanitario non era preparato per fronteggiare l’emergenza. “Nella finestra di opportunità (il lasso di tempo che intercorre fra la manifestazione del virus in Cina e in Lombardia, ndr), andava formato il personale sanitario secondo le precauzioni universali dettate dall’Oms; la Regione avrebbe dovuto organizzare fornire per tempo dispositivi di protezione, riorganizzare medici di base, ospedali e terapie intensive. Nulla di tutto ciò è stato fatto. Il risultato? Un numero enorme di operatori sanitari infettati”, denuncia Agnoletto.

“In Italia – prosegue il medico del lavoro – abbiamo una rete di medici di medicina generale che ci invidia tutto il mondo. Deriva dalla riforma sanitaria del 1978, che dotò l’Italia del miglior servizio sanitario nazionale del mondo. Questa prima linea, composta da servizi di prevenzione, medici di famiglia, servizi territoriali, era l’argine che avrebbe dovuto contenere l’onda d’urto del virus, prima che si abbattesse sulla seconda linea, le strutture ospedaliere. Invece, non istruita e protetta a dovere, la prima linea è stata mandata al massacro dalla Regione”.

Sopraffatta la medicina territoriale, il virus ha travolto con violenza le strutture ospedaliere. L’impatto è stato tremendo e il sistema non ha retto. In Lombardia, il numero di posti letto nei dipartimenti di emergenza in rapporto alla popolazione, è inferiore al resto dell’Europa occidentale. Insufficiente era poi il numero di molti macchinari per la terapia intensiva, che la Regione ha dovuto procurarsi in giro per il mondo. Su questa base si sono innestati fattori di carattere nazionale, come la generale carenza di medici specialisti. “Credo che l’Italia sia stato l’unico Paese al mondo che, per fronteggiare l’emergenza, abbia dovuto richiedere personale medico sanitario agli altri Paesi. Così la politica ha ridotto quello che alla fine degli anni Settanta era secondo l’Oms il miglior sistema sanitario nazionale al mondo”, commenta con amarezza il dottor Agnoletto.

C’è poi la questione dei tamponi. “E’ mancata una strategia scientifica. I tamponi vanno effettuati a tutti quelli che presentano sintomi; poi, procedendo per cerchi concentrici, a tutti i contatti delle persone risultate positive. E a tutto il personale sanitario. La nostra Regione ha invece fatto i tamponi solo a quelli che stavano già malissimo e venivano ricoverati in ospedale”. 

Ha fatto molto discutere la decisione di costruire l’ospedale in Fiera di Milano, costato 21 milioni di donazioni, magnificato da tv e giornali e inaugurato in pompa magna in barba ai divieti di assembramento. Per Agnoletto è “un altro esempio della logica privata. Quei soldi potevano servire a potenziare le Usca per l’assistenza domiciliare, così da alleviare il carico per gli ospedali; oppure potevano essere impiegati per riaprire alcuni dei reparti dismessi in questi anni dalla giunta regionale. Quell’ospedale invece potrà essere chiuso ad emergenza conclusa, così da non intaccare gli interessi privati. Inoltre è impensabile costruire uno ospedale dedicato all’emergenza in mezzo al deserto, scollegato dagli altri reparti, laboratori e ambulatori. Si parlava di 400 posti letto, adesso se ci sono venti pazienti lì dentro è pure tanto”.

Manca l’ultimo tassello del puzzle, quello più drammatico: la sciagurata gestione delle residenze sanitarie assistenziali, che ha provocato la morte di migliaia di anziani. Nell’occhio del ciclone è anzitutto la delibera di giunta dello scorso 8 marzo, che chiedeva alle RSA di ospitare pazienti Covid in via di guarigione, così da liberare posti negli ospedali. “In questo caso c’è stata assoluta incompetenza – analizza Agnoletto -; non bisogna essere dei geni per capire che con una patologia infettiva la prima cosa da fare è separare le persone infettate da quelle non infettate.

La seconda cosa da fare è individuare se ci sono del cluster più fragili; in questo caso erano anziani, immunodepressi e persone con patologie complesse: le RSA ospitano una popolazione con tutte queste caratteristiche. E proprio lì hanno collocato quelli che uscivano dagli ospedali. Persone che avevano sì superato la fase più critica, ma che erano ancora portatori del virus”.

https://www.change.org/p/commissariare-la-sanità-lombarda-va-fatto-ora

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Falso terapista accusato di stupro, vittima minorenne

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Accoglieva le sue pazienti all’interno di un finto studio allestito in una palestra di Fondi e, una volta solo con loro nelle stanze della struttura, le molestava nel corso di presunti trattamenti di fisioterapia, crioterapia e pressoterapia, facendo leva sulle loro fragilità psicologiche e fisiche affinché non raccontassero nulla. Dolori e piccoli problemi fisici che spingevano ciascuna delle vittime, tra cui anche una minorenne, a recarsi da lui per sottoporsi alle sedute, completamente all’oscuro del fatto che l’uomo non possedesse alcun titolo di studio professionale, né tanto meno la prevista abilitazione, e che non fosse neanche iscritto all’albo. È finito agli arresti domiciliari il finto fisioterapista trentenne di Fondi, per il quale è scattato anche il braccialetto elettronico, accusato di aver commesso atti di violenza sessuale su diverse donne, tra cui una ragazza di neanche 18 anni, e di aver esercitato abusivamente la professione.

Un’ordinanza, quella emessa dal giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Latina ed eseguita nella giornata di oggi dagli agenti del Comando Provinciale della Guardia di Finanza, arrivata al termine di un’indagine di polizia giudiziaria svolta su delega della Procura di Latina. Durata all’incirca un anno, quest’ultima ha permesso di svelare, attraverso le indagini condotte anche con accertamenti tecnici, acquisizioni di dichiarazioni ed esami documentali, i numerosi atti di violenza da parte dell’uomo nei confronti delle pazienti del finto studio da lui gestito. Tutto accadeva all’interno di un'”Associazione sportiva dilettantistica” adibita a palestra nella città di Fondi, nel sud della provincia di Latina: quella che il trentenne spacciava per il suo studio, sequestrata in queste ore dalle fiamme gialle quale soggetto giuridico formale nella cui veste è stata esercitata l’attività professionale, in assenza dei prescritti titoli di studio, della prevista abilitazione e della necessaria iscrizione all’albo, nonché dei locali, attrezzature e impianti utilizzati. Un’altra storia di abusi a Lodi.

Vittima una ragazza siriana di 17 anni arrivata in Italia per sfuggire alla guerra e al sisma del 2023: finita nelle mani dei trafficanti è stata sottoposta a violenze e maltrattamenti e poi abbandonata. La Polizia, coordinata dalla Procura di Lodi e dalla Procura presso la Direzione distrettuale antimafia di Bologna, ha arrestato i due aguzzini.

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Aggressione omofoba a Federico Fashion style, ‘botte e insulti’

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Preso a schiaffi e pugni sul treno e insultato da un passeggero solo perchè gay. Un’aggressione omofoba che ha visto sul treno Milano-Napoli vittima Federico Lauri, conosciuto come Federico Fashion Style, parrucchiere e volto tv. Lo racconta lui stesso sui social e un’intervista al Corriere della Sera on line. “Preso a schiaffi e pugni in faccia su un treno Italo davanti agli occhi di tutti — scrive Federico, che è anche un volto di Real Time —Essere insultato, denigrato e aggredito per l’orientamento sessuale è vergognoso. Vi prego smettetela di chiamare la gente fr… L’omosessualità non è una malattia». L’aggressione è avvenuta sul Milano Napoli all’altezza di Anagni. Il treno si ferma per un guasto, Lauri chiede informazioni e un passeggero prima lo insulta con frasi omofobe e poi lo picchia. Lauri finisce all’ospedale a Colleferro cn un trauma cranico e una prognosi di 15 giorni. Ora promette che denuncerà tutto. “Questa bestia mi ha dato un cazzotto, ma se avesse avuto un coltello mi avrebbe accoltellato -dice al Corriere- Il rischio è uscire di casa e non rientrare più. L’omofobia è la malattia, non l’omosessualità. Loro si devono curare”.

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Lo stupro di Palermo, la difesa vuole la vittima in aula

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Dentro l’aula è scontra tra accusa e difesa. Fuori dal tribunale di Palermo i familiari dei detenuti che arrivano con il pullman della polizia penitenziaria sono in attesa di salutare ‘i loro ragazzi’ mentre non lontano una decina di associazioni hanno dato vita ad un sit in per chiedere di essere ammesse come parti civili. Sono in aula cinque dei sei giovani indagati per lo stupro di gruppo a una 19enne avvenuto lo scorso 7 luglio a Palermo in un cantiere abbandonato del Foro Italico. Uno solo segue l’udienza in videoconferenza, collegato da una sala del carcere dove è recluso. Assente la vittima dello stupro, ospite in una comunità protetta, fuori dalla Sicilia. L’unico minorenne del branco è in un istituto minorile, dopo essere stato già condannato a 8 anni e 8 mesi in abbreviato. L’udienza preliminare davanti al gup Cristina Lo Bue per i sei maggiorenni – Elio Arnao, Cristian Barone, Gabriele Di Trapani, Angelo Flores, Samuele La Grassa e Christian Maronia – si apre in un clima di scontro aperto tra le parti. I legali degli indagati hanno già preannunciato le contromosse per ribaltare le accuse nei confronti dei loro assistiti.

La linea difensiva è chiara ed è legata alla richiesta di ascoltare nuovamente la vittima alla luce delle “nuove prove” che gli avvocati avrebbero raccolto. Alla prossima udienza chiederanno l’abbreviato condizionato a una nuova audizione della vittima, già ascoltata dal gip di Palermo Clelia Maltese due mesi fa nel corso dell’incidente probatorio. Il materiale raccolto dalla difesa già in un’udienza stralcio a marzo non era stato ammesso fra le carte del procedimento, ma i legali insistono. Secondo gli avvocati le nuove prove dimostrerebbero in sostanza che la giovane era consenziente. Una linea difensiva che non sorprende l’avvocato Carla Garofalo, legale della ragazza. “Questa è letteratura – spiega -, lo fanno in tutti i processi per stupro. Lo farei anche io, ma è improbabile perché mai difenderò un indagato per stupro. In ogni caso questa tesi è insostenibile, perché ci sono i filmati che parlano (i video girati con i cellulari dagli stessi indagati ndr)”.

La legale parla di “un ambiente tossico” attorno alla sua assistita “che a Pasquetta è stata pesantemente minacciata e aggredita” e denuncia “una campagna denigratoria nei confronti della ragazza durata tutta l’estate”. “Io, purtroppo – aggiunge -, sono entrata nel processo solo a gennaio per cui non ho potuto gestire e seguire la parte precedente”. L’avvocato Garofalo sottolinea anche lo stato di profonda prostrazione vissuto dalla giovane: “ha alti e bassi, momenti di angoscia e di speranza. Per fortuna abbiamo un buon rapporto. Sta raccogliendo i cocci di tutto lo sfacelo attorno a lei, con aggressioni continue. E a volte si chiede chi glielo ha fatto fare”. Attorno alla ragazza vittima dello stupro si sono strette una decina di associazioni che oltre a manifestare davanti al tribunale hanno chiesto di costituirsi parte civile, così come ha fatto il Comune di Palermo. Il Gup ha rinviato ogni decisione alla prossima udienza, fissata per il 29 aprile. Se il giudice non ammetterà l’abbreviato condizionato i legali degli imputati dovranno scegliere tra l’abbreviato “secco” o l’ordinario.

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