Nell’attuale situazione di crisi, generata dall’emergenza Coronavirus, il mondo dell’artigianato artistico si è trovato a vivere una condizione di particolare fragilità. Penso a quello che stanno vivendo i tanti artigiani custodi di antichi saperi e di quel Know how che ha reso il nostro Paese unico e che ancora ci identifica nel mondo, a tutti i prosecutori di antiche manifatture ed eccellenze del Made in Italy impegnati oggi in una battaglia di resistenza.
Per un artigiano non è possibile produrre in smart working e con l’arresto del settore turistico si sono ridotte, in modo consistente, anche le opportunità per veicolare e vendere le produzioni. È quindi a rischio la sopravvivenza di un importantissimo patrimonio culturale e produttivo, un’eccezionalità tutta italiana.
Tuttavia proprio per l’artigianato e, più in generale, per il mondo della produzione di oggetti, potrebbero verificarsi opportunità nuove. Un nuovo posizionamento di senso. Siamo tutti chiamati a riflettere su un mondo nuovo, più attento ai valori duraturi e alla bellezza delle cose destinate a permanere, partendo da quello che abbiamo vissuto in questi giorni di isolamento.
Il virus ha rallentato tutto, assisteremo probabilmente ad un arresto nella manifattura dei beni di consumo. Tutto ciò è preoccupante ma, confinati nelle nostre città, potremmo assistere proprio ad un rilancio dell’artigianato, le persone potrebbero tornare ad apprezzare maggiormente i beni prodotti localmente. È necessario trasformare questa minaccia in un’opportunità di crescita collettiva che rilanci le produzioni locali e restituisca un senso nuovo al nostro rapporto con gli oggetti d’uso e con gli spazi di vita. Dobbiamo ripartire con modalità nuove e con un nuovo senso di comunità!
Per questo, in occasione dell’evento nazionale ‘Buongiorno Ceramica 2020’, abbiamo deciso di non parlare tanto delle nostre collezioni. Riteniamo invece fondamentale ricordare a tutti e in particolare al nostro comparto produttivo di riferimento, quello della ceramica di Capodimonte, che fare rete in questo momento non è più un’opzione, è necessario. Che la nostra Istituzione è un ente pubblico e come tale ha il dovere di sostenere il territorio. Le nostre risorse umane e strumentali sono disponibili per quanti avranno bisogno, per ripartire, per costruire insieme un futuro nuovo per il comparto basato sul dialogo, per dare forma a processi di innovazione adeguati alle necessità e alle condizioni della collettività.
Costruiamo una rete che sia un’”agorà”, un luogo privato e pubblico al tempo stesso. Per tornare a interrogarci, dove anche le sofferenze private possano essere finalmente pensate e vissute come problemi condivisi, comuni e politici. Abbiamo la possibilità di sostenere le imprese non solo sul fronte della produzione ma anche della formazione, continua, per la costruzione di nuove competenze legate anche all’evoluzione del digitale. Partirà quest’anno, ad esempio, un nuovo Corso per adulti dedicato alla ceramica artistica e industriale per l’aggiornamento professionale e per offrire opportunità formative lungo tutto l’arco della vita.
In questo particolare momento storico, l’Istituto ad indirizzo raro Caselli-De Sanctis e Real Fabbrica di Capodimonte vuole riportare l’attenzione sul progetto del “Forno Civico”, sostenuto e potenziato grazie ad un importante finanziamento dell’Assessorato alla pubblica Istruzione e alle Politiche Sociali della Regione Campania. Sarà di nuovo possibile ammirare sia le produzioni delle aziende del territorio sia quelle degli allievi della scuola, oltre ai magnifici oggetti disegnati per le collezioni della Real Fabbrica di Capodimonte. Ora dobbiamo sottolineare e ricordare, con più urgenza, la nostra disponibilità ad essere un riferimento, con il Forno Civico, un supporto all’intera filiera, con uno scopo sociale alto. Costruiamo insieme un modello di impresa sociale dove il pubblico intervenga a sostegno del privato per determinare non solo una rigenerazione culturale ma anche economica e di mercato. Così si costruisce un futuro possibile e di qualità per gli artigiani già operativi e per le nuove generazioni, perché solo con queste premesse ha senso una scuola che tramandi competenze stratificate a giovani che possano poi rintracciare una domanda concreta di un mercato finalmente sostenibile.
Dirigente dell'Istituto ad indirizzo raro Caselli - De Sanctis e della Real Fabbrica di Capodimonte. Laurea in architettura, Dottore di ricerca in Tecnologia dell'Architettura, Perfezionamento in Arredamento, Design e Grafica, Specializzazione in Disegno industriale, presso la Facoltà di Architettura di Napoli Federico II.
Ha partecipato all'organizzazione e al coordinamento scientifico di workshop, seminari, mostre e convegni. Ha collaborato ad iniziative della rete nazionale SDI, Sistema Design Italia, nella Unità di Napoli "Federico II". Membro del comitato scientifico del Wd Workshop design selezione Compasso d'oro 2004 e del progetto di ricerca-azione INPORCELLANE per il comparto della porcellana di Capodimonte.
Autore di numerosi libri e saggi su design e comunicazione per la valorizzazione del patrimonio culturale e del territorio. Docente di Graphic Design presso l'Accademia di Belle Arti di Frosinone.
Dall’esplosione del Vesuvio in tutto il suo realismo alla materia lavica nelle opere di Burri e Mancini, è un Ottocento che inizia dal Settecento con un muro di Thomas Jones (A well in Naples) del 1782 e finisce nel Novecento perché “un secolo non inizia e finisce in modo matematico”, spiega Sylvain Bellenger, curatore della mostra che racconta Napoli alle Scuderie del Quirinale fino al 16 giugno. ‘Napoli Ottocento. Degas, Fortuny, Gemito, Mancini, Morelli, Palizzi, Sargent, Turner’, sublime e materia, nel lungo titolo di questa mostra che racconta non un città, ma un vero e proprio universo in un secolo totalmente da riscoprire. “Questa è una mostra coraggiosa – spiega ancora Bellenger – prima di tutto perché trattare dell’Ottocento è coraggioso. È il secolo più lungo e più importante per la modernità, ma scandaloso nella testa degli storici dell’arte.
Il più vivo in Italia è poi l’Ottocento napoletano nella sua totalità, anche politica. Sublime è il ritorno al Vesuvio, un concetto che all’inizio di quel secolo significa terrore e meraviglia della natura. Il concetto di materia del resto – aggiunge – si coniuga così con quello di spiritualità e definisce l’arte napoletana della scuola di Posillipo fino all’informale”. Si parte infatti con le varie eruzioni del vulcano che segnano il Settecento, per passare poi all’attrazione per Pompei che mette Napoli al centro della formazione intellettuale degli artisti europei e poi arrivando nel golfo scoprono il mare, la luce incredibilmente intensa, e nasce la scuola del plein air. Ed ecco allora, stanza dopo stanza, colori, luoghi, e personalità che si susseguono con alcuni focus tematici e alcuni su singoli artisti.
C’è la stravolgente Arca di Filippo Palizzi, dove gli animali non fuggono dalle acque ma evidentemente da un’eruzione, quella del Vesuvio, che riduce la terra in polvere. Ci sono i meravigliosi paesaggi bruciati dalla luce di Giuseppe De Nittis, due piccoli William Turner che valgono la mostra nel blu metafisico del loro splendore, le due vedute di Gioacchino Toma, realizzate a quattro anni di distanza nello stesso luogo. Un discorso a parte poi vale il riflettore puntato su Edgar Degas nel suo strettissimo rapporto con Napoli. Di origine napoletana, aveva vissuto l’infanzia nella città e parlava correntemente napoletano: per il curatore, infatti, che qui propone una serie di intensi ritratti dell’artista, è proprio l’influenza napoletana che segna la differenza e l’originalità dell’artista rispetto alla scuola francese.
La Napoli del XIX secolo è anche riconosciuta come un’importante capitale scientifica e qui una videoistallazione di Stefano Gargiulo accompagna il visitatore nella peculiarità della Stazione Zoologica voluta da Anton Dohrn, primo centro di studio oceanografico in Italia. Napoli è stata, terza città d’Europa, dopo Londra e Parigi, sede di una delle più antiche università italiane, della prima scuola di lingue orientali in Europa ad esempio e anche l’orientalismo è oggetto di una delle spettacolari dieci sezioni della mostra. “Una mostra – sintetizza Mario De Simoni, direttore generale delle Scuderie del Quirinale – concepita alla fine della pandemia e dedicata non a caso a una delle città più vitali e più amate, che racconta Napoli nella sua vocazione di grande capitale e che segna una volta di più la fecondità della presenza delle Scuderie nel sistema del ministero della Cultura, questa volta attraverso l’organizzazione congiunta con il Museo e Real Bosco di Capodimonte e la collaborazione con la Galleria Nazionale di Arte Moderna e Contemporanea e con la Direzione Regionale Musei della Campania”.
Pompei continua a riservare nuove sorprese, dagli scavi in corso al Parco Archeologico emergono nuovi dati sull’edilizia romana. Negli ambienti di antiche domus che lo scavo archeologico sta portando alla luce nella Regio IX, insula 10, sono riemerse importanti testimonianze di un cantiere in piena attività: strumenti di lavoro, tegole e mattoni di tufo accatastati e cumuli di calce.
Secondo gli studiosi il cantiere era attivo fino al giorno dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., che iniziò intorno all’ora di pranzo e durò fino alla mattina del giorno successivo. Lo scavo nell’area in questione, finalizzato alla regimentazione dell’assetto idrogeologico lungo il confine tra la parte scavata e quella non scavata della città romana, sta attestando la presenza di un cantiere antico che interessava tutto l’isolato. Particolarmente numerose sono le evidenze dei lavori in corso nella casa con il panificio di Rustio Vero, dove è stata già documentata negli scorsi mesi una natura morta con la raffigurazione di una focaccia e un calice di vino.
L’atrio era parzialmente scoperto, a terra si trovavano accatastati materiali per la ristrutturazione e su un’anta del tablino (ambiente di ricevimento), decorato in IV stile pompeiano con un quadro mitologico con “Achille a Sciro”, si leggono ancora oggi quelli che probabilmente erano i conteggi del cantiere, ovvero numeri romani scritti a carboncino, facilmente cancellabili a differenza dei graffiti incisi nell’intonaco.
Tracce delle attività in corso si trovano anche nell’ambiente che ospitava il larario, dove sono state trovate anfore riutilizzate per “spegnere” la calce impiegata nella stesura degli intonaci. In diversi ambienti della casa sono stati scoperti strumenti di cantiere, dal peso di piombo per tirare su un muro perfettamente verticale (“a piombo”) alle zappe di ferro usate per la preparazione della malta e per la lavorazione della calce. Anche nella casa vicina, raggiungibile da una porta interna, e in una grande dimora alle spalle delle due abitazioni, per ora solo parzialmente indagata, sono state riscontrate numerose testimonianze di un grande cantiere, attestato anche dagli enormi cumuli di pietre da impiegare nella ricostruzione dei muri e dalle anfore, ceramiche e tegole raccolte per essere trasformate in cocciopesto.
Si tratta di un’“occasione straordinaria per sperimentare le potenzialità di una stretta collaborazione tra archeologi e scienziati dei materiali”, scrivono gli autori di un articolo pubblicato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei. Nell’analisi dei materiali e delle tecniche costruttive, il Parco Archeologico di Pompei si è avvalso del supporto di un gruppo di esperti del Massachusetts Institute of Technology, USA. “L’ipotesi portata avanti dal team è quella dello hot mixing, ovvero la miscelazione a temperature elevate, dove la calce viva (e non la calce spenta) è premiscelata con pozzolana a secco e successivamente idratata e applicata nella costruzione dell’opus caementicium”, si legge nel testo.
Normalmente, la calce viva viene immersa nell’acqua, cioè “spenta”, molto tempo prima dell’uso in cantiere, formando il cosiddetto grassello di calce, un materiale di consistenza plastica. Lo “spegnimento”, ovvero la reazione tra calce viva e acqua, produce calore. Solo al momento della messa in opera, la calce viene poi mescolata con sabbia e inerti per produrre la malta o il cementizio.
Nel caso del cantiere di Pompei, invece, risulta che la calce viva, ovvero non ancora portata a contatto con l’acqua, venisse in un primo momento mescolata solo con la sabbia pozzolanica. Mentre il contatto con l’acqua avveniva poco prima della posa in opera del muro. Ciò significa che, durante la costruzione della parete, la miscela di calce, sabbia pozzolanica e pietre era ancora calda per via della reazione termica in corso e di conseguenza si asciugava più rapidamente, abbreviando i tempi di realizzazione dell’intera costruzione.
Diversamente quando si trattava di intonacare le pareti, sembra che la calce venisse prima spenta e successivamente mescolata con gli inerti per essere poi stesa, come si fa ancora oggi.
“Pompei è uno scrigno di tesori e non tutto si è svelato nella sua piena bellezza. Tanto materiale deve ancora poter emergere. Nell’ultima Legge di Bilancio abbiamo finanziato nuovi scavi in tutta l’Italia e una parte importante di questo stanziamento è destinata proprio a Pompei – dichiara il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano – Mi ha fatto molto piacere quando il direttore del Parco archeologico, Gabriel Zuchtriegel, ha ricordato che, mai come in questo momento, sono attivi così tanti scavi nel sito: possiamo dire che è un record degli ultimi decenni. Allo stesso tempo stiamo lavorando anche su altri fronti. Nei mesi scorsi il Ministro della Difesa, Guido Crosetto, ha ceduto al Ministero della Cultura l’ex Spolettificio di Torre Annunziata, dove nascerà un grande museo per raccogliere tutti questi reperti”.
Massimo Osanna
“Lo scavo nella Regio IX, insula 10, progettato negli anni del Grande Progetto Pompei sta dando, come era prevedibile, importanti risultati per la conoscenza della città antica. Un cantiere di ricerca interdisciplinare, nato come il precedente scavo della Regio V, dalla necessità di mettere in sicurezza i fronti di scavo, ossia le pareti di materiale eruttivo lasciate dagli scavi del XIX e XX secolo che incombono pericolosamente sulle aree scavate. Pompei continua a essere un cantiere permanente dove ricerca, messa in sicurezza, manutenzione e fruizione sono attività connesse e prassi quotidiana”, afferma il Direttore generale Musei, Massimo Osanna.
Gabriel Zuchtriegel
“È un ulteriore esempio di come la piccola città di Pompei ci fa capire tante cose del grande Impero romano, non ultimo l’uso dell’opera cementizia. Senza il cementizio non avremmo né il Colosseo, né il Pantheon, né le Terme di Caracalla. Gli scavi in corso a Pompei offrono la possibilità di osservare quasi in diretta come funzionava un cantiere antico – sottolinea il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – I dati che emergono sembrano puntare sull’utilizzo della calce viva nella fase di costruzione dei muri, una prassi già ipotizzata in passato e atta ad accelerare notevolmente i tempi di una nuova costruzione, ma anche di una ristrutturazione di edifici danneggiati, per esempio da un terremoto. Questa sembra essere stata una situazione molto diffusa a Pompei, dove erano in corso lavori un po’ ovunque, per cui è probabile che dopo il grande terremoto del 62 d.C., diciassette anni prima dell’eruzione, ci fossero state altre scosse sismiche che colpirono la città prima del cataclisma del 79 d.C. Ora facciamo rete tra enti di ricerca per studiare il saper fare costruttivo degli antichi romani: forse possiamo imparare da loro, pensiamo alla sostenibilità e al riuso dei materiali”.
‘Carmen Rap’ alle Officine San Carlo contro il femminicidio tra lirica, prosa e musica: la riporta in scena il Massimo, in occasione della Giornata Mondiale del teatro, con i giovani del laboratorio di Vigliena il 27 e il 28 marzo (ore 20.30). Musiche (eseguite dai professori d’orchestra del San Carlo) e testi sono di Luca Caiazzo, in arte Lucariello, la drammaturgia è di Federico Vacalebre, la regia di Michele Sorrentino Mangini. All’iniziativa saranno presenti il sindaco e presidente della Fondazione Gaetano Manfredi, il prefetto di Napoli Michele di Bari, la Commissione Straordinaria per il risanamento e la riqualificazione funzionali al territorio del Comune di Caivano con il Commissario Fabio Ciciliano.
Il messaggio di quest’anno è ‘L’arte è Pace’, scritto dal norvegese Jon Fosse. “Lo spunto lirico è l’opera di Bizet, magari con la trama ricondotta a Mérimée e poi trasportata ai giorni nostri, nelle terre nostre – spiega Vacalebre – I contrabbandieri, naturalmente, si occupano di droga, stanno senza penziere. E Carmen, Carmencita, anzi Carme’ fa la stessa tragica fine di sempre, perché il femminicidio non è mai stato così di attualità, anche se muore a ritmo trap”. “La mia opera su Carmen – prosegue Luca Caiazzo – è stata sviluppata con l’unico approccio possibile per me: quello di un rapper beatmaker, al di fuori degli schemi del mondo classico. Non ho utilizzato campionamenti degli strumenti elettronici. Grazie alla tecnologia ho potuto adattare direttamente la partitura di Bizet, preservando intatte le arie più suggestive”.
Xana Vazquez de Prada sarà Carme’, non più gitana, ma portoricana a Castel Volturno. Legge le carte, ma soprattutto fa la ballerina, la cubista, in una discoteca-lido. Don Josè è ora Giuseppe, interpretato da Alessio Sica, Zuniga è diventato Zurzolo, interpretato da Vincenzo Bove. Escamillo, il trapper ‘O Torero’, è Oyoshe Waza. Le scene di Fabio Marroncelli sono state realizzate gli studenti dell’Officina di Scenografia diretta da Anna Nasone. Giusi Giustino, che firma i costumi, ha lavorato con l’Officina di Sartoria Teatrale Circolare. Al progetto collaborano la Fondazione Una Nessuna Centomila, presidente Giulia Minoli, la cooperativa sociale EVA e Donne del Vino.