È il 1981 quando Felice Pignataro e sua moglie Mirella La Magna fondano il Gridas, un’associazione culturale destinata a scrivere pagine importanti della storia di Scampia. Lo scopo del Gridas – acronimo per “gruppo risveglio dal sonno” – era quello di stimolare un risveglio delle coscienze e una partecipazione attiva alla crescita della società. Al riscatto di quel quartiere abbandonato dalle istituzioni e divenuto presto ostaggio della camorra, i suoi fondatori hanno consacrato buona parte delle loro vite.
Nel 1983 danno vita al carnevale di quartiere, una festa colorata ed originale, una tradizione che persiste ancora oggi e che ha avuto il merito di aggregare cittadini ed associazioni attorno ad importanti temi sociali. Punto di riferimento importante per il Gridas e per tutto il quartiere, Felice Pignataro è scomparso nel 2004 a causa di un tumore polmonare, ma i suoi murales, disseminati per le strade di Scampia e Secondigliano, perpetuano ancora oggi il suo messaggio di libertà e di speranza. Nel 2005 a Mirella viene notificata un’ordinanza di sgombero: l’ente regionale IACP (oggi ACER) rivendica la proprietà dei locali di via Monterosa che ospitano l’associazione. Oggi, dopo oltre quindici anni di udienze, rimandi e rimpalli di responsabilità, il Gridas rischia ancora lo sgombero. Mirella La Magna racconta a Juorno le vicende burocratiche del Gridas e i valori che ne hanno ispirato l’azione per quasi quarant’anni.
Mirella, sono passati tanti anni dalla prima ordinanza di sgombero. Che cosa è successo? Ad oggi qual è la situazione?
Ormai sono dieci anni di processi. L’ACER rivendica la proprietà dell’immobile e nel 2005 ci arriva la prima ordinanza di sgombero, ci rifiutiamo ed inizia il processo penale; nel 2013 siamo assolti con formula piena. Non abbiamo neanche il tempo di festeggiare la vittoria che arriva subito una nuova ingiunzione di sgombero e ha inizio un altro processo, questa volta civile. Il Comune di Napoli ha sempre dichiarato di volerci aiutare, ogni volta sembrava fossimo vicini ad un accordo, ma poi non se ne faceva mai niente. Un anno fa scopriamo una cosa clamorosa: l’edificio non appartiene all’IACP ma al Comune di Napoli. Senza documenti che lo certifichino però, non possiamo provarlo, restiamo degli abusivi.
Che cosa chiede al sindaco De Magistris? È delusa dall’amministrazione comunale?
Di recente abbiamo scritto una lettera aperta al sindaco, nella quale riassumevamo la situazione e chiedevamo a De Magistris, non vedendo altra soluzione, di rivendicare in maniera unilaterale la proprietà dell’immobile, così da darci un attestato da portare al processo il prossimo 26 ottobre. Stiamo aspettando di poter aver un incontro per parlare direttamente col sindaco. Diciamo che le strade sono lastricate di buone intenzioni, al Comune mi hanno sempre aperto le braccia. Ricordo che una volta, quando gli esternavo la mie preoccupazione per la situazione, De Magistris mi rassicurò, dicendomi che avrebbero fatto saltare tutti i lucchetti. Ho paura però che i lucchetti si stiano incominciando ad arrugginire.
Qual è lo spirito che animato il Gridas in tutti questi anni?
Il Gridas è stato il nostro modo di occuparci degli ultimi. Il problema di Scampia è che sin dall’inizio è stato un quartiere dormitorio, senza negozi, senza servizi né centri ricreativi per i ragazzi. L’ho sempre detto, è stata la cronaca di una delinquenza annunciata. Noi siamo stati il contrasto all’individualismo esasperato e alla negazione dello spazio pubblico. Tutti gli sforzi delle associazioni sono andati in questa direzione. L’attività di Felice si è esplicata soprattutto con i murales: erano il suo modo di esprimere una protesta e di dipingere l’utopia, che è il progetto di come le cose dovrebbero essere. In molti murales c’è una fila di persone che si tengono per mano; solo insieme si può dare vita a qualcosa di buono, abbattendo l’individualismo e costruendo una comunità.
Il carnevale di quartiere del Gridas è ormai un evento irrinunciabile per la città. Come nacque?
Il carnevale nacque dalla nostra reazione alle feste dei nostri figli a scuola, erano celebrazioni terribili, tristi. Volevamo ridare al carnevale il suo senso originale, quello di stare per strada, provando ad immaginare per un giorno un altro modo di vivere, un capovolgimento delle cose. Venne fuori l’idea di un carnevale a tema, ogni anno viene scelto un tema sociale preciso.
Lei ha vissuto in prima persona tutte le stagioni di Scampia; crede che in questi ultimi anni stia cambiando qualcosa nella mentalità degli abitanti?
Secondo me c’è stata almeno in parte una presa di coscienza, in alcuni nasce l’orgoglio di appartenere al quartiere. In passato la maggior parte delle persone ometteva di dire che abitava a Scampia; se ne vergognava. La mentalità sta cambiando molto, c’è stata anche la lotta molto importante per l’abbattimento delle Vele. Non so se noi con la nostra azione siamo riusciti a scuotere molte coscienze. Col tempo ho capito però che se hai qualcosa da dire la devi dire, devi piantare un seme, anche se non puoi mai sapere se e quando germoglierà. La cosa importante però è partire, incominciare a dire le cose.
Qual è secondo lei il primo passo da fare per cambiare le cose?
Credo che si debba incominciare dal creare bellezza, armonia. Il degrado genera in modo automatico altro degrado. Le faccio un esempio. Si dice spesso che i napoletani siano sporchi, incivili. Provi a guardare i nuovi alloggi popolari, in cui sono stati trasferiti gli abitanti della prima Vela abbattuta. Gli abitanti li tengono bene, puliti, perché quelle persone le hai finalmente collocate in un posto decente. Quando sette anni fa abbiamo creato il Felimetrò, la stazione dedicata a Felice con le sue opere, molti ci dissero che non sarebbero durate; invece sono ancora lì, nessuno le ha toccate. Significa che le cose belle si rispettano, è quando metti la gente nel degrado che questa smette di prendersi cura delle cose e anzi contribuisce a sporcarle. La bellezza crea dignità e rispetto.
Alla centrale operativa della Compagnia Carabinieri di Giugliano in Campania arrivano diverse segnalazioni ma il messaggio è sostanzialmente lo stesso: “C’è una persona che sta passeggiando sull’Asse Mediano, sembra spaesato”.
I militari della sezione radiomobile della compagnia di Giugliano raggiungono in pochi minuti l’asse mediano. Ogni minuto può essere prezioso e la Gazzella dell’Arma percorre la strada – nota per essere percorsa ad alta velocità – in direzione Giugliano centro.
Ad un tratto compare l’uomo che vaga sulla corsia di soprasso contro le auto che sfrecciano. Lampeggianti accesi e segnalazione sul tetto dell’auto con l’avvertimento di rallentare e i carabinieri scendono dalla gazzella. Pochi secondi e l’uomo – visibilmente disorientato – viene messo in auto tra il vento, la pioggia e le auto. L’uomo, un 80enne del posto, è stato affidato ai medici del 118 e fortunatamente sta bene. I carabinieri successivamente constateranno che l’anziano si era allontanato poco prima da una casa albergo per anziani.
Una scossa di terremoto che ha avuto magnitudo 4.1, ipocentro a 10 chilometri di profondità ed epicentro a 5 chilometri dai comuni di Socchieve (Udine) e di Tramonti di Sopra (Pordenone) è stata registrata alle 22.19. Il terremoto è stato avvertito chiaramente in tutta la regione, da Pordenone a Udine, a Trieste. Secondo l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia la scossa avrebbe avuto l’epicentro a Socchieve (Udine), piccolo comune della Carnia, a una profondità di dieci chilometri. La spallata è stata avvertita nettamente – anche in Veneto, in Trentino Alto Adige e nelle confinanti Austria e Slovenia – e i centralini dei vigili del fuoco hanno ricevuto decine e decine di telefonate. Al momento non si registrano danni a persone o cose.
“Abbiamo sentito un botto tremendo e abbiamo avuto tanta paura”, poi “è mancata la luce per alcuni minuti”. Lo ha detto a Rainews24 Coriglio Zannier, sindaco di Socchieve, il comune più vicino all’epicentro della scossa di terremoto di magnitudo 4.5 avvertita questa sera in Friuli-Venezia Giulia. Come danni, ha detto il sindaco, si registra “qualche caduta di tegole”, ma ora “stiamo tornando alla normalità”.
La vita di un uomo qualunque. L’acquisto di un’auto, la fila in banca per ritirare un assegno, le polizze assicurative e i bolli meticolosamente pagati. E poi gli esami medici, il ricovero e l’intervento chirurgico ottenuti in tempi record (questo forse non proprio come un comune cittadino). Man mano che emergono nuovi particolari sulla latitanza trentennale di Matteo Messina Denaroil quadro si fa più inquietante e si confermano i primi sospetti: il boss più ricercato del Paese conduceva una esistenza ordinaria grazie a una fitta rete di complici.
Oggi i carabinieri del Ros, coordinati dalla Procura di Palermo, ne hanno arrestati altri tre: l’architetto Massimo Gentile, siciliano da anni residente a Limbiate, in provincia di Monza, dove si occupa di appalti per conto del Comune e dove ha gestito decine di opere finanziate dal Pnrr; suo cognato Cosimo Leone, tecnico radiologo all’ospedale di Mazara del Vallo e Leonardo Gulotta. Salgono dunque a 14 i fiancheggiatori del capomafia finiti in cella dal 16 gennaio scorso, quando un blitz dei Carabinieri mise fine alla sua latitanza.
Da allora i militari con un paziente lavoro hanno tentato di ricostruire la vita alla macchia del boss. E stavolta hanno scoperto che a novembre del 2014 Messina Denaro andò personalmente da un concessionario auto di Palermo per acquistare una Fiat 500 e poi in banca a ritirare l’assegno da consegnare al rivenditore. Il boss usò una falsa carta di identità intestata all’architetto Massimo Gentile e indicò come numero telefonico di riferimento per eventuali comunicazioni quello di Leonardo Gulotta. L’input all’ultima indagine deriva da un appunto trovato in casa del boss.
La caccia al veicolo ha portato i carabinieri alla concessionaria dove è stata trovata la pratica dell’acquisto della macchina con i documenti consegnati dall’acquirente, tra i quali la fotocopia della carta d’identità su cui era stata incollata la foto di Messina Denaro. Il documento, che portava la firma dal padrino, conteneva alcuni dati corrispondenti a quelli di Gentile e altri falsi: come l’indirizzo di residenza indicato in “via Bono”. Per l’acquisito il capomafia ha versato mille euro in contanti e 9.000 attraverso un assegno circolare emesso dalla filiale di Palermo dell’Unicredit di corso Calatafimi.
Allo sportello, per ottenere l’assegno, ha esibito il falso documento, versato euro 9.000 cash e dichiarato che il Denaro era frutto della propria attività di commerciante di vestiti. Come recapito telefonico per le comunicazioni ancora una volta il boss ha lasciato il cellulare di Gulotta. L’auto è stata assicurata a nome di Gentile e in almeno un anno le polizze, come hanno mostrato le comparazioni grafiche, hanno portato la firma di Messina Denaro. Dalle indagini è emerso anche che nel 2007 l’architetto ha acquistato per conto del mafioso una moto Bmw che sarà poi lo stesso Gentile a portare alla demolizione in una officina a cui si fa riferimento in un pizzino nascosto in una sedia, trovato a casa della sorella di Messina Denaro, Rosalia.
I bolli di moto e auto nel 2016 sono stati pagati l’uno a 40 secondi dall’altro in una tabaccheria di Campobello di Mazara dove, sette anni dopo, pochi giorni prima dell’arresto, il capomafia era andato a fare acquisti, come dimostra uno scontrino ritrovato dal Ros. Poi c’è il fronte sanitario, tutto ancora da scandagliare. Al momento è emerso che il latitante ha potuto godere di aiuti importanti come quello ricevuto da Cosimo Leone, che si sarebbe occupato di far fare una Tac urgente al capomafia (Tac, come risulta da documenti sanitari, anticipata più volte).
Secondo gli investigatori, inoltre, Leone avrebbe costantemente informato dello stato del paziente un altro fiancheggiatore, Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato al boss l’identità per farsi curare. Sono decine i contatti telefonici tra i due nei giorni in cui il capomafia si trovava all’ospedale di Mazara scoperti dai carabinieri. E dalle analisi dei tabulati risulta evidente che Bonafede fece avere al boss un cellulare mentre questi era ricoverato.