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Brexit, tutto pronto per il divorzio senza accordo: ora c’è anche la campagna pubblicitaria del Governo Johnson

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La classe dirigente del Regno Unito prende una direzione precisa: Brexit senza accordo. A rendere evidente questa decisione è stato il fatto che il Governo ha lanciato il giorno 19 ottobre la campagna pubblicitaria in intitolata “il tempo stringe”. L’HMRC (Her Majesty’s Revenue Service) – ufficio delle tasse – ha scritto a 200.000 aziende per definire le nuove norme doganali e fiscali che entreranno in vigore dal 1 Gennaio 2021. Il primo ministro Boris Johnson e Michael Gove, ministro del governo incaricato della pianificazione ‘Brexit senza accordo’,  terranno colloqui con i leader aziendali per affrontare il futuro dei rapporti commerciali con l’Unione europea.

La mossa segue lo stop dei negoziati tra Lord Frost (capo negoziatore per il Regno Unito) e Michel Barnier (capo della Task Force per le relazioni UE/ Regno Unito) la scorsa settimana. Lord Frost ha comunicato alla controparte europea che è necesssario un aggiornamento di non preoccuparsi di tornare nel Regno Unito questa settimana per discutere ulteriormente.

Intervistato domenica 10 ottobre da Sophy Ridge di Sky News, Michael Gove ha suggerito che ora c’era meno del 50% di possibilità che il Regno Unito concludesse un accordo commerciale post-Brexit. 

Michael Gove. Negoziatore inglese con l’Ue

Annunciando così la campagna pubblicitaria, Gove ha affermato: “Alla fine di quest’anno lasceremo il mercato unico dell’UE e l’unione doganale e questo significa che ci sono nuove sfide e nuove opportunità per le imprese. Il sito governativo ( The UK transition – GOV.UK) è già pronto per aiutare le imprese a evitare difficoltà nel corso della transizione commerciale.

Ecco quello che si può sapere e capire consultando il sito del Governo.

  • Se vendi merci nell’UE, devi prepararti a nuove procedure doganali.
  • Se viaggi nell’UE per motivi di lavoro, dovrai verificare se hai bisogno di un visto o permesso di lavoro e fare domanda se necessario.
  • Se assumi cittadini stranieri, dovrai preparare la tua attività per l’attuazione del nuovo sistema di immigrazione.  Dal 1 ° gennaio 2021, se desideri assumere qualcuno al di fuori del Regno Unito, inclusa l’UE, devi essere uno sponsor autorizzato del Ministero degli interni.
  • Se fornisci servizi nell’UE, devi assicurarti che le tue qualifiche siano ora riconosciute dalle normative dell’UE per poter esercitare o servire i clienti.

Per i ministri britannici è chiara la speranza che dopo questa transizione ci saranno rapporti commerciali migliori a livello globale. Ormai mancano una settantina di giorni. Tocca aspettare per capire come finirà!

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La mappa delle basi Usa (e occidentali) nell’area

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Basi militari note e altre segrete, installazioni logistiche e soldati sul campo per addestrare forze locali: è molto articolata la presenza delle truppe statunitensi e occidentali in Medio Oriente che potrebbero finire nel mirino di Teheran e delle milizie alleate. A cominciare dalle basi in Iraq e Siria, che già hanno dovuto fare i conti con la reazione all’offensiva militare israeliana nella Striscia di Gaza scatenata all’indomani delle stragi del 7 ottobre compiute da Hamas. In Iraq in particolare, dove il premier Muhammad Sudani ha chiesto il ritiro delle truppe americane e l’esercito di Baghdad giudica la loro presenza “fonte di instabilità”, già si contano diverse decine di attacchi.

La gran parte sono rivendicati dal gruppo “Resistenza islamica in Iraq”, che secondo Washington è sostenuto da Teheran. Nel Paese i soldati americani sono quasi 2.500, inquadrati nella Coalizione anti-Isis creata nel 2014. La situazione è talmente tesa che le forze Usa hanno colpito a Baghdad nel gennaio scorso il comandante di una fazione filoiraniana. L’ultimo attacco nella capitale irachena risaliva al 2020: venne ucciso in un raid Qasem Soleimani, il capo delle forze al Quds iraniane. Allora, per rappresaglia, Teheran lanciò diversi missili balistici sulla base di Al-Asad. Tra le altre strutture, l’aeroporto militare di Erbil, nel Kurdistan iracheno, finisce spesso nel mirino. Nell’area sono dislocati anche i militari italiani inquadrati nell’operazione Prima Parthica (oltre mille soldati tra Iraq e Kuwait), soprattutto per l’addestramento delle forze locali. In Siria la base militare Usa più nota è quella di al Tanf, un’ex prigione che sorge strategicamente al confine tra Iraq e Giordania, poi ci sono quelle di al Omar e al Shaddadi, nel nordest, tutte e tre già prese di mira dal 7 ottobre. I soldati schierati in Siria sarebbero almeno 900, ufficialmente per l’addestramento delle Forze democratiche siriane (Sdf) che ancora combattono contro il governo di Damasco.

Nel nord ci sarebbero poi 200 militari francesi dispiegati in una manciata di basi: le informazioni però arrivano soprattutto da Ankara, che accusa Parigi di addestrare in loco i “terroristi” del Pkk, mentre ufficialmente addestrano, anche loro, le Sdf. In Giordania, 3mila i soldati Usa schierati, il presidente Emmanuel Macron ha acceso i riflettori sulla base aerea nel nordest desertico da cui sono partiti i caccia per intercettare i droni iraniani nell’attacco a Israele. Lo aveva già fatto a dicembre, andando a visitare per Natale i 350 soldati della struttura. Ma la base giordana che desta le maggiori preoccupazioni è la ‘Torre 22’: situata al confine siriano – si staglia a una manciata di chilometri dalla base di al Tanf – è stata attaccata dai droni delle milizie filoiraniane a gennaio con un bilancio di tre soldati americani uccisi e oltre 40 feriti. La presenza militare americana in Medio Oriente si snoda poi con le molteplici basi in Arabia Saudita, Emirati, Qatar, Baharein, Kuwait, Gibuti, Oman che ospitano oltre 40mila soldati, a cui vanno aggiunti i britannici. Ma si tratta di Paesi che difficilmente potrebbero finire oggi nel mirino di Teheran, a meno di non voler correre il rischio di dare il là alla Coalizione regionale anti-Iran evocata da Tel Aviv.

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Trump alla sbarra, ‘processarmi è un attacco all’America’

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Tra ingenti misure di sicurezza e centinaia di rappresentanti dei media accampati fuori dal tribunale sin dalle quattro di mattina, Donald Trump è arrivato a Manhattan per il primo processo ad un ex presidente nella storia degli Stati Uniti. Trentaquattro capi di imputazione e almeno due mesi di udienze, il procedimento per i pagamenti alla porno star Stormy Daniels è l’unico dei quattro a suo carico che arriverà a sentenza prima delle elezioni di novembre.

“Lotto per la libertà di 325 milioni di americani. Questo processo è un attacco all’America”, ha attaccato Trump poco prima di entrare in aula ribadendo di essere vittima di una “persecuzione politica”. Il tycoon è accusato di aver falsificato documenti aziendali per nascondere un pagamento di 130.000 dollari all’attrice e regista hard nel 2016 in modo che non rivelasse la loro relazione. Secondo il procuratore Alvin Braggs, l’ex faccendiere Michael Cohen, uno dei testimoni chiavi, ha materialmente staccato gli assegni e poi è stato rimborsato dalla società di Trump che ha fatto passare le rate come “spese legali”. Non solo, la procura di Manhattan imputa all’ex presidente altre due mazzette in cambio del silenzio sulle sue sregolatezze: una da 30.000 dollari ad un portiere della Trump Tower ed un’altra da 150.000 dollari alla coniglietta di Playbow Karen McDougall con la quale The Donald ha avuto una storia sempre nel 2016. Insomma, per l’accusa il tycoon aveva messo in piedi uno schema più ampio per tutelarsi dagli scandali durante la corsa alla Casa Bianca che poi ha vinto.

Anche per questo la procura chiamerà sul banco dei testimoni McDougall, l’editore del National Enquirer, il tabloid vicino all’ex presidente che si sarebbe fatto carico dei pagamenti a quest’ultima, e Hope Hicks, ex manager della campagna e poi direttrice delle comunicazioni alla Casa Bianca. Gli avvocati di Trump hanno elaborato una strategia difensiva basata, come riferiscono i media americani, sulle tre ‘d’, delay, deny and denigrate ovvero ‘ritarda, nega e denigra’. Per la parte diffamazione, il lavoro è quasi esclusivamente affidato a Trump che, nonostante l’ordine del silenzio da parte del giudice Juan Merchan, continua a pubblicare post al vetriolo contro Daniels e Cohen accusandoli di volta in volta di essere “bugiardi, opportunisti” e perfino “sacchi della spazzatura”.

Per quanto riguardi i tempi del processo i legali dell’ex presidente puntano sulla lentezza fisiologica del sistema giudiziario americano – devono ancora essere scelti i membri della giuria su oltre 200 candidati – e su una serie di espedienti piò o meno efficaci. Il giudice ha già bocciato la loro richiesta di ricusazione per un presunto conflitto di interessi (sua figlia lavora per un’azienda legata al partito democratico) sostenendo che si basava su “una serie di riferimenti, allusioni e speculazioni non supportate”. Ha invece lasciato una porta aperta su un’altra mozione della difesa, quella di non permettere a Trump di non essere presente alla seduta del 17 maggio per poter partecipare al diploma del figlio 18enne Barron.

“Vedremo a che punto del processo saremo”, ha risposto Merchan che ha anche stabilito che non ci saranno udienze il mercoledì. Sull’esito del procedimento è ancora troppo presto per esprimersi. Le accuse contro il tycoon sono tutti crimini di classe E, la categoria più bassa a New York, e ognuno comporta una pena detentiva massima di quattro anni di carcere. Merchan ha già chiarito che prende sul serio “i reati di colletti bianchi”, perché di questo Trump è accusato al di là degli affaire con le sue amanti, e potrebbe mandarlo dietro le sbarre ma potrebbe anche concedergli la libertà vigilata. In ogni caso, a meno di un passo indietro suo o del partito repubblicano, nulla impedirà a The Donald di continuare a correre per la Casa Bianca e, in caso di vittoria, a guidare gli Stati Uniti anche con la tuta arancione.

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Cinque anni fa il rogo, Notre-Dame risorge dalle ceneri

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“Risorta dalla ceneri”: a cinque anni dal devastante incendio Notre-Dame de Paris torna progressivamente all’antico splendore, in vista della riapertura prevista per l’8 dicembre 2024, Festa dell’Immacolata Concezione. Secondo quanto riferito dal responsabile del cantiere, Philippe Jost, i lavori di ricostruzione della cattedrale simbolo di Parigi e tra i luoghi più emblematici di Francia e d’Europa procedono “nel rispetto dei tempi e del bilancio”. A 100 giorni dall’avvio delle Olimpiadi di Paris 2024 (26 luglio-11 agosto), la guglia che in quel fatidico pomeriggio del 15 aprile 2019 implose dinanzi agli occhi di tutti, in mondovisione, è tornata a svettare nel cielo di Parigi, ricostruita identica al progetto ottocentesco dell’architetto Eugène Viollet Le Duc. Tra le altre sfide portate a compimento, oltre alla complessa opera di bonifica delle macerie, la ricostruzione del tetto in legno – la cosiddetta ‘foresta di Notre-Dame’- conclusa lo scorso marzo, con oltre un migliaio di alberi bicentenari selezionati nei boschi di Francia per riprodurlo identico all’originale del 1200. A contribuire alla rinascita di Notre-Dame de Paris, centinaia di operai, architetti, restauratori e restauratrici – anche italiane – che hanno lavorato malgrado mille vincoli e difficoltà: a cominciare dai rischi legati alle polveri di piombo – per ripulirla e bonificarla – o lo stop dei lavori durante il Covid-19. All’interno, la pulizia delle mura, delle vetrate, e delle decorazioni è ormai giunta a compimento.

“E’ veramente meraviglioso, questi colori erano del tutto scomparsi”, sottolinea all’agenzia France Presse il vicerettore di Notre-Dame, Guillaume Normand, mostrando una delle 24 cappelle interamente restaurate. Contro ogni attesa, non sono andati danneggiati dalle fiamme i tre rosoni medievali, ormai perfettamente ripuliti, come anche la grande croce situata in fondo alla chiesa e una statua della Vergine col Bambino, “ritrovate intatte in mezzo alle macerie fumanti e miracolate”, sottolinea il prelato, entusiasta di questa cattedrale ‘Leggenda dei secoli’ ormai bagnata di nuova luce.

L’incendio di Notre-Dame suscitò uno slancio di solidarietà senza precedenti, con doni da tutto il mondo per 844 milioni di euro. Sergio Mattarella, in occasione della visita in Francia per il cinquecento anni dalla scomparsa di Leonardo Da Vinci, il 2 maggio 2019, fu il primo presidente straniero a visitare la cattedrale ancora ferita e ricoperta di macerie. “Sono qui per testimoniare l’amicizia tra Italia e Francia”, disse il capo dello Stato in quel commovente sopralluogo, osservando che “tutti i principali avvenimenti di Francia dal 1200 in poi sono passati da qui…E la cattedrale di Notre-Dame rispecchia tanta parte della storia e della civiltà d’Europa”. “Questo – aggiunse Mattarella prima di affacciarsi all’interno della cattedrale devastata – spiega perchè in Italia le ore dell’incendio sono state seguite con angoscia e con affetto, perchè tra l’altro, Francia e Italia condividono una grande sensibilità per il patrimonio culturale”. Prima del rogo, la chiesa parigina accoglieva annualmente 12 milioni di visitatori, 2.400 funzioni religiose e 150 concerti, numeri destinati a crescere dopo la riapertura a dicembre secondo i responsabili di Notre-Dame. (

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