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Cronache

Branco dei Colli Aminei, uno dei bulli aveva già sconvolto la vita di una coetanea: il racconto choc di una mamma

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Ha sconvolto tutti la vicenda del ragazzo bullizzato da una decina di suoi coetanei nel parco della Pineta ai Colli Aminei, lo scorso 8 maggio. L’avvocato Angelo Pisani, legale della famiglia della vittima, aveva appurato che due degli autori della vile aggressione erano gli stessi che circa un mese fa, in piena emergenza Covid, si dilettavano a sputare addosso agli anziani in via Scarlatti, al Vomero. Adesso emergono altri dettagli inquietanti su uno dei bulli del branco. Usiamo il termine inquietante perchè sono tutti ragazzini che commettono atti esecrabili, probabilmente anche reati.  

Valentina Ercolino. Mamma di una bambina vittima di uno dei bulli del del branco dei Colli Aminei

“Mia figlia è stata in classe con uno dei bulli, alle elementari, e poi fino alla seconda media. Alla Vanvitelli abbiamo passato cinque anni tremendi con lui, la prendeva in giro in ogni modo. Alle medie, al Viale delle Acacie, ce lo siamo ritrovati in classe. La situazione si è fatta insostenibile e alla fine mia figlia ha dovuto cambiare scuola”. A raccontarci questa triste vicenda è Valentina Ercolino, la mamma della ragazza bullizzata, che adesso frequenta la terza media alla Maiuri, dove ha finalmente recuperato un po’ di serenità. 

“Ora sta in una classe fantastica, con docenti eccezionali, sta bene. L’accoglienza della preside è stata straordinaria, una persona molto disponibile e comprensiva. Mia figlia veniva presa di mira perché non rientrava nei canoni delle ragazzine della sua età, era un po’ più in carne. A causa delle prese in giro, era sempre agitata, nervosa. Le mie denunce sono state ignorate dai docenti e dalla dirigente scolastica, dunque non ho avuto altra scelta che farle cambiare scuola. In prima media, durante una riunione con i genitori, provai a spiegare alla madre del ragazzo cosa stava succedendo, ma mi ignorò completamente, sembrava cadere dalle nuvole. Se mi avesse ascoltato, probabilmente adesso quel ragazzino non si troverebbe in questa situazione deplorevole”.

Oltre alle prese in giro per il suo aspetto fisico, la ragazza veniva tormentata in ogni modo dal bullo. “Le tirava addosso di tutto, righelli, gomme da cancellare, palline di carta. Fuori da scuola le lanciava anche lattine di coca cola. E’ stato un vero incubo”. Davanti alla disperazione della figlia, che non voleva più andare a scuola, Valentina non vede altra soluzione che chiedere il nulla osta per il trasferimento. E qui iniziano altri problemi.

“Non volevano darci il nulla osta, sebbene fosse un nostro diritto. Ci volle una settimana, poi finalmente riuscii ad ottenerlo. Ricordo ancora il giorno: 2 novembre 2018. Le scuole statali, se ritiri i ragazzi, perdono i soldi dal Miur; da quella sezione, prima di mia figlia, andarono via altre due ragazzine, quindi a me non volevano concedere il nulla osta. Alla preside mandai tre pec, ma non mi ha mai concesso un appuntamento”. 

Il caso di questa mamma e di sua figlia è uno dei tanti in cui scuola e famiglia vengono meno alle loro funzioni di educatori, un ruolo cruciale per la crescita dei ragazzi che formeranno la società del domani.

“Scuola e famiglia sono fondamentali per i valori che dovrebbero trasmettere ai ragazzi: rispetto delle regole e del prossimo, solidarietà nei confronti dei più deboli; nel mio caso, tutto questo è venuto meno. Il patto fra scuola e famiglia è saltato. Noi siamo stati trattati malissimo, ma io sono a posto con la coscienza: ho provato più volte ad avvisare la madre di questo ragazzo”, chiarisce Valentina.

Sulla possibilità di rieducare ragazzi come questi, Valentina ritiene che “bisogna fargli fare un serio percorso di recupero, altrimenti non si salverà. La cosa peggiore è che la mamma ha fatto finta di non vedere, è ingiustificabile. Tutti sapevano ma nessuno parlava, e questa omertà rovina i nostri  ragazzi. Il rischio è che la famiglia fra qualche anno possa piangersi il figlio morto in una sparatoria o in galera per qualche reato. E’ questa la fine che rischiano ragazzi come lui”.

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A Milano 100 strade a 30 all’ora davanti alle scuole

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Milano accelera sui 30 all’ora. A partire da settembre sono circa 100 le strade davanti alle scuole della città dove il Comune imporrà il limite di 30 chilometri all’ora a tutela dei più piccoli. Lo annuncia il sindaco Giuseppe Sala che ha come obiettivo quello di introdurre questo limite di velocità in tutte le strade dove si affacciano edifici scolastici. Da settembre “non saranno interessate tutte le strade milanesi dove ci sono le scuole – spiega – ma un numero significativo, orientativamente vogliamo avvicinarci alle 100 e poi andare avanti”. E su questo c’è già stato il confronto con il ministro dei Trasporti e Infrastrutture Matteo Salvini nel corso del G7 che si è tenuto la scorsa settimana a Milano.

Il ministro “non ha espresso alcuna perplessità e non credo voglia cambiare idea – prosegue -. Anzi mi ha detto che è totalmente d’accordo sul fatto di portare le strade a 30 all’ora dove ci sono le scuole”. Per estendere il provvedimento a tutte le strade interessate ci vorrà del tempo non va solo adeguata la segnaletica, c’è il lavoro degli uffici che devono fornire la documentazione. Il provvedimento dei 30 all’ora nelle strade delle scuole andrà di pari passo con un’altra novità della mobilità a Milano su cui ci sono diverse critiche, cioè la creazione della zona a traffico limitato nella zona allargata del Quadrilatero della moda.

A Milano sono state già introdotte le Piazze scolastiche, aree perdonali con interventi di urbanistica tattica che sono al momento 9 e a breve se ne aggiungeranno altre. Altro progetto è quello delle scuole car free, ovvero strade in cui il transito viene inibito nei soli orari di ingresso e uscita degli alunni. Al momento sono oltre 30 le scuole. Ora gli uffici della Mobilità sono al lavoro per individuare le scuole in cui sarà possibile realizzare strade a 30km all’ora. Sono tante le città soprattutto a livello internazionale che scelgono di introdurre il limite di velocità di 30 all’ora, in Italia lo ha fatto, non senza polemiche, Bologna che lo ha esteso in gran parte delle strade della città. Scatenando però la reazione del ministero dei Trasporti che è intervenuto con una direttiva per fare in modo che le zone 30 fossero istituite solo in certe vie. A Milano il Consiglio comunale ha approvato il 9 gennaio del 2023 un ordine del giorno che chiedeva l’introduzione del limite di 30 all’ora in tutta la città a partire dal primo gennaio di quest’anno. Ma il sindaco Sala ha spiegato che questo limite non può essere applicato ovunque.

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Maxi incidente fra autotreni sulla A1, traffico bloccato, code fino a 18 km

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Uno scontro fra autotreni ha diviso l’Italia a metà per ore, con file di auto fino a venti chilometri. L’incidente sulla A1 Milano-Napoli, nel tratto compreso tra San Vittore e Caianello verso Napoli, all’altezza del km 691: quattro i mezzi pesanti coinvolti. Sul posto sono intervenuti i Vigili del Fuoco, i soccorsi sanitari e meccanici, le pattuglie della Polizia Stradale ed il personale della Direzione 6° Tronco di Cassino di Autostrade per l’Italia. Agli utenti in viaggio verso Napoli, è stato consigliato di uscire a Cassino e rientrare a Caianello dopo aver percorso la viabilità ordinaria: adesso l’incidente è stato risolto ma per chi sta tornando verso Napoli ci sono ancora più di 10 km di coda.

 

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Dopo 7 anni chiuso il caso Iuventa, tutti prosciolti

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Ad attendere la sentenza, fuori dal palazzo di giustizia di Trapani, c’erano decine di persone. Una piccola folla che ha accolto con applausi e cori la notizia che dopo 7 anni di indagini, costate alla giustizia 3 milioni di euro, l’inchiesta per favoreggiamento all’immigrazione clandestina a carico di 10 membri dell’equipaggio di tre ong – Save The Children, Medici Senza Frontiere e Jugend Rettet – è finita in un nulla di fatto. Il proscioglimento perchè il fatto non sussiste, la formula assolutoria più ampia, pronunciato dal gip per tutti chiude un caso che, oltre che giudiziario, è diventato politico. I componenti degli equipaggi delle tre organizzazioni umanitarie erano accusati dai pm di Trapani di aver stretto accordi con i trafficanti libici e di non aver prestato in realtà soccorso in mare ai profughi, ma di aver fatto loro da “taxi”, trasbordandoli dalle navi degli scafisti, alle quali poi avrebbero permesso di tornare indietro indisturbate. Una tesi contrastata dai legali delle associazioni umanitarie che negli anni hanno più volte chiesto l’archiviazione di una indagine definita dai difensori insussistente.

Alla fine, a udienza preliminare prossima al termine, alle conclusioni degli avvocati sono arrivati anche i pm che a sorpresa hanno chiesto il non luogo a procedere per i 10 imputati perchè il fatto non costituisce reato. Ma il gup, alla fine di una camera di consiglio durata pochi minuti, è andato oltre, sostenendo non che gli imputati non avessero avuto la consapevolezza di infrangere la legge, come detto dall’accusa, ma proprio che il reato non c’è stato. Nel procedimento si era costituito parte civile il ministero dell’Interno che si è rimesso alla decisione del gup. I pm nel 2016 avevano anche disposto il sequestro dell’imbarcazione Iuventa della ong Jugend Rettet, una delle tre organizzazioni umanitarie coinvolte, che nel frattempo ha subito danni enormi ed è inutilizzabile. Ora con i proscioglimenti toccherà al custode giudiziario, la Guardia Costiera, riparare i danni. Ma come nasce l’indagine? A dare input furono le rivelazioni fatte dalla security privata della nave noleggiata da Save the Children, su presunte irregolarità commesse nel corso delle attività di soccorso.

Gli inquirenti sostennero di aver accertato almeno tre casi in cui alcuni membri degli equipaggi avevano avuto contatti con trafficanti ed erano intervenuti in operazioni senza che i profughi fossero in reale situazione di pericolo. I migranti sarebbero stati trasbordati sulla nave della ong, scortati dai libici e, una volta avvenuto il trasferimento a bordo delle imbarcazioni umanitarie, gli scafisti sarebbero stati fatti allontanare. Nel corso del procedimento è emersa l’assoluta inattendibilità dei testimoni, cacciati dalle forze dell’ordine e ingaggiati per la security. Solo una delle spie che l’inchiesta faceva acqua da tutte le parti. “Questa sentenza mi fa sentire sollevato, dopo 7 anni accuse infondate basate su illazioni e testimonianze fallaci che hanno dipinto le attività di soccorso come criminali”, dice Tommaso Fabbri di Msf, uno degli imputati. “Oggi – aggiunge – si cancella ogni dubbio e si smette di parlare di taxi del mare o di collusioni tra ong e scafisti”.

“E’ un momento importante per tutto il mondo dell’aiuto umanitario, perché si restituisce giustizia alle attività di soccorso e ai tanti operatori impegnati nel salvataggio di vite”, commenta Rafaela Milano, portavoce di Save The Children. Mentre per Jugend Rettet parla il legale Alessandro Gamberini: “Questo processo è una delle origini del male, della diffamazione delle ong chiamate spesso a essere complici dei trafficanti. Oggi si chiude un’epoca anche se non chiedo che il nostro ministro Salvini si fermerà”. Molte le reazioni politiche. “Questo dimostra che soccorrere è un obbligo e che come abbiamo sempre detto la solidarietà non è reato”, dice la segretaria del Pd Elly Schlein, mentre la deputata del Pd Laura Boldrini commenta: “questa sentenza mette a tacere anni fango”.

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