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Esteri

Boris Johnson è grave, a Downing Street c’è il suo vice Raab ma i cittadini del Regno ora hanno paura

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Tutti dispiaciuti del fatto che il primo ministro britannico Boris Johnson sia finito in terapia intensiva. A parte il lato umano della questione s’incominciano già a capire che gli effetti politici saranno pesanti. In un momento in cui la Nazione aveva bisogno di un leader forte, con una forte investitura popolare. E Johnson, quali che siano i nostri giudizi, aveva vinto e alla grande le ultime elezioni ed ora ci si ritrova ad un punto di confusione generale.

Certo il suo vice Dominic Raab (nella foto in evidenza) porterà avanti la stessa linea politica e strategica ma ovviamente non è stato votato dai cittadini per essere primo ministro. Dunque non sarà la stesa cosa.

Sicuramente ache Donald Trump incomincia a preoccuparsi. Il presidente americano aveva instaurato un rapporto di amicizia/collaborazione e business che avrebbe permesso al Regno Unito di ignorare sempre di più le richieste dell’Unione Europea. Adesso fino a quando il primo ministro non passa questo dramma personale in modo positivo tutto è di nuovo in gioco. E poi nessuno sa realmente quali sono le sue reali condizioni di salute. Ieri pomeriggio mentre Boris Johnson scriveva un tweet per dire che stava bene, già circolava la notizie che sarebbe rimasto al St Thomas Hospital e sarebbe entrato in terapia intensiva perché forse necessita dai ventilazione polmonare.

Ma torniamo alla politica. Non bisogna dimenticare le divergenze interne nel partito conservatore durante Brexit. Tutti quei disaccordi potrebbe ritornare anche se siamo in una situazione di emergenza per il coronavirus. Ci sono personaggi politici nel partito dei Tory che già da tempo avevano una visione diversa sul futuro del Regno Unito. Boris Johnson aveva stabilito una certa sicurezza e direzione per il Paese. Anche se per alcuni era una direzione di marcia discutibile. Ora ci ritroviamo con personaggi che non hanno lo stesso spessore politico e la stessa leadership di Boris Johnson ma che dorrebbero sostituirlo. I commentatori politici danno già qualche segno di allarme. È come se il Governo all’improvviso dovesse riformarsi da capo. Dal numero 10 di Downing Street arrivano aggiornamenti sulla salute del primo ministro con grossi ritardi. Questo fatto per gli addetti ai lavori è un dato preoccupante. L’ufficio stampa di Downing Street è sempre stato molto efficiente. Questo è il segno che la situazione di salute del primo ministro sia incerta e c’è qualcuno che vorrebbe vedere più trasparenza per capire quali siano le condizione di salute reali del primo ministro.

Matt Hancock. Il ministro della Salute inglese

Il Segretario agli Esteri e vice del Primo Ministro Dominic Raab afferma che Mr Johnson è in “mani sicure” in terapia intensiva. Raab ha dichiarato che “gli affari del governo continueranno e il primo ministro è in buone mani con l’eccellente squadra dei dottori dell’ospedale di St Thomas. Il focus del governo continuerà ad essere quello di garantire tutti i piani per assicurarsi che possiamo sconfiggere il coronavirus e poter portare il paese a vincere questa sfida. La direzione di governo è salda nelle mani del primo ministro”.

Raab sarà uno dei numerosi ministri del governo che d’ora in poi guideranno le conferenze stampa sulla crisi. Anche il cancelliere Rishi Sunak, il segretario alla salute Matt Hancock e il ministro dell’ufficio del governo Michael Gove aiuteranno a smaltire il lavoro a Downing Street. Li vedremo sempre più spesso ma ci possiamo fidare? Ed ecco che arriva il commento di Ian Duncan Smith ex leader del partito conservatore. Il leader più debole della storia del partito. La versione inglese di Matteo Renzi, per capirci, che torna a galla per dare la sua ‘benedizione’ al governo.

Duncan Smith ha dichiarato cosi di avere fiducia in Raab e che le contingenze per tale situazione sono ben pianificate. Tutti gli altri ministri del Gabinetto, alcuni molto più anziani come Michael Gove che capiscono come funziona il tutto, avranno lavori importanti da fare … ma quello che dovranno fare ora è rivolgersi a Dominic Raab per quel processo decisionale.

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L’Australia esorta i suoi cittadini a lasciare Israele

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Il governo australiano ha esortato i suoi cittadini in Israele a “andarsene, se è sicuro farlo”. “C’è una forte minaccia di rappresaglie militari e attacchi terroristici contro Israele e gli interessi israeliani in tutta la regione. La situazione della sicurezza potrebbe deteriorarsi rapidamente. Esortiamo gli australiani in Israele o nei Territori palestinesi occupati a partire, se è sicuro farlo”, secondo un post su X che pubblica gli avvisi del dipartimento degli affari esteri e del commercio del governo australiano.

Il dipartimento ha avvertito che “gli attacchi militari potrebbero comportare chiusure dello spazio aereo, cancellazioni e deviazioni di voli e altre interruzioni del viaggio”. In particolare è preoccupato che l’aeroporto internazionale Ben Gurion di Tel Aviv “possa sospendere le operazioni a causa di accresciute preoccupazioni per la sicurezza in qualsiasi momento e con breve preavviso”.

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Ian Bremmer: l’attacco di Israele è una sorta di de-escalation

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C’è chi legge una escalation e chi invece pensa che sia una de escalation questo attacco israeliano contro l’Iran. “È un allentamento dell’escalation. Dovevano fare qualcosa ma l’azione è limitata rispetto all’attacco su Damasco che ha fatto precipitare la crisi”. Lo scrive su X Ian Bremmer, analista fondatore di Eurasia Group, società di consulenza sui rischi geopolitici.

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Esteri

Usa bloccano bozza su adesione piena Palestina all’Onu

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Gli Usa hanno bloccato con il veto la bozza di risoluzione del Consiglio di Sicurezza Onu che raccomandava l’adesione piena della Palestina alle Nazioni Unite. Il testo ha ottenuto 12 voti a favore (Algeria, Russia, Cina, Francia, Guyana, Sierra Leone, Mozambico, Slovenia, Malta, Ecuador, Sud Corea, Giappone), 2 astensioni (Gran Bretagna e Svizzera) e il no degli Stati Uniti.

La brevissima bozza presentata dall’Algeria “raccomanda all’Assemblea Generale che lo stato di Palestina sia ammesso come membro dell’Onu”. Per essere ammessa alle Nazioni Unite a pieno titolo la Palestina doveva ottenere una raccomandazione positiva del Consiglio di Sicurezza (con nove sì e nessun veto) quindi essere approvata dall’Assemblea Generale a maggioranza dei due terzi.

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