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Cronache

Baby rapinatore ucciso, pronto soccorso devastato e spari contro la caserma: decine di indagati per la notte di follia criminale a Napoli

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La rapina finita nel sangue in via generale Orsini. La devastazione del pronto soccorso dell’ospedale Pellegrini ad opera di una orda di barbari criminali. La missione di guerra con relativi spari ad altezza d’uomo contro la sede del comando provinciale dell’Arma dei Carabinieri in piazzetta Morgantini, episodio che rasenta la sovversione, il terrorismo benché di matrice puramente gangsteristico. La procura di Napoli deve mettere in fila i tre singoli episodi criminali della serata di domenica 1 marzo, collocare sui luoghi dove sono stati commessi crimini i protagonisti e accertare le responsabilità penali che sono personali. La giustizia prescinde dalle considerazioni sociologiche spicciole di queste ore. Il codice penale è una cosa, le questioni etiche e sociologiche vanno bene nei convegni, che sono importanti, ma sono altra roba e nulla hanno a che vedere con questi episodi criminali. Episodi che, non sfugge a nessuno, hanno fatto e faranno danni devastanti all’immagine di Napoli città violenta che prova a liberarsi di certi cliché.

Le indagini sono coordinate direttamente dal procuratore Gianni Melillo. Gli accertamenti sono delegati sia alla squadra mobile della Polizia di Stato che agli investigatori dell’Arma. La scena del crimine violento, il tentativo di rapina al carabiniere con una pistola (poi rivelatasi essere perfetta imitazione di quella vera) e il ferimento del 15enne Ugo Russo (il rapinatore) è già stata cristallizzata dagli inquirenti. Su questa azione predatoria di Ugo Russo, del suo complice 17enne già in carcere (si è costituito poche ore dopo), potrebbe ravvisarsi la necessità di ricostruire l’episodio in sede di incidente probatorio. In ogni caso sono stati acquisiti i filmati delle telecare di sorveglianza della zona (zona ben servita) e si potranno verificare con precisione gli spostamenti dei due rapinatori e capire se oltre all’assalto al carabinieri hanno commesso anche altri crimini.

La acquisizione delle immagini del circuito di videosorveglianza dentro il nosocomio, le relazioni di servizio della vigilanza privata in servizio al Pellegrini e dei carabinieri presenti in ospedale saranno utili per individuare uno ad uno gli autori della devastazione del pronto soccorso. Dalle autorità sanitarie c’è la massima collaborazione nell’individuazione dei vandali contro i quali si costituiranno parte civile per la richiesta di risarcimento del danno. In questo caso, è bene precisarlo, oltre alle violenze, alle devastazioni, alle minacce, è stato interrotto un servizio pubblico per 12 ore. La chiusura e la riapertura del pronto soccorso in dodici ore è solo figlio dell’impegno del direttore generale dell’Asl 1 e di tutto il personale. Il momento è difficile è un pronto soccorso in quella zona della città eroga un servizio fondamentale. I magistrati inquirenti infatti nella iscrizione delle notizie di reato non dimenticheranno anche la interruzione di un pubblico servizio. Non sarà difficile portare alla sbarra 70/80 persone. Tanti sono gli energumeni criminali che hanno devastato il pronto soccorso.

Sugli spari contro la caserma dei carabinieri, la situazione si fa molto più delicata. Chi è andata davanti alla caserma con gli scooter ed ha sparato ad altezza d’uomo non è detto che possa rifarlo o peggio che possa prendere di mira carabinieri in servizio in città. Da questo punto di vista l’Arma ha raccomandato massima vigilanza per strada e attenzione ad ogni insignificante dettaglio perché potrebbero esserci criminali che sono pronti ad attaccare i carabinieri che ai loro occhi sono colpevoli di aver ucciso un povero 15 enne, dimenticando che si tratta di rapinatore quand’anche minore di età. Su questo versante gli investigatori sono abbottonatisismi. Ovviamente sanno dove mettere le mani, sanno dove andare a cercare, anzi già cercano alcuni giovani  criminali capaci di queste scorrerie.

Una cosa è certa, però, nessuna delle azioni criminali messe a segno nella notte balorda di due piccoli delinquenti (uno è morto e l’altro è in cella) e dei loro fiancheggiatori e spalleggiatori passerà in cavalleria. Dopo i funerali del rapinatore 15enne si comincerà a tirare le prime somme. E chiunque ha commesso un reato sarà chiamato a risponderne. Solo così lo Stato guadagnare il rispetto della gente perbene che crede nelle regole e nel rispetto delle regole da parte della intera comunità.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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