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Cronache

Avvocati, artisti e magistrati alla cena di solidarietà per i poveri della mensa di don Pietro Ottena e le famiglie truffate di Terzigno

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C’erano avvocati, magistrati, artisti, intellettuali alla cena di solidarietà al Kobe di Pompei organizzata dall’associazione forense “In Oltre”, del distretto giudiziario di Torre Annunziata. Il ricavato del biglietto d’ingresso (c’erano 250 e passa persone) sarà devoluto in parte alla mensa dei poveri di don Pietro Ottena di Torre Annunziata e alle 14 famiglie truffate e sfrattate di Terzigno che hanno visto le loro case abbattute. Erano case acquistate dai poveri cristi con l’assistenza di un notaio, rivelatesi poi abusive a loro insaputa, e demolite. Davanti a questi numeri (presenze, incasso di denaro da devolvere per ragioni nobili) la presidente dell’associazione, Anna Brancaccio, avvocato del Foro di Torre Annunziata, si dice  “felice per il successo della serata e fiera della collaborazione di tanti amici e colleghi che, senza farselo dire due volte, hanno contribuito a donare e a  regalare un sorriso a chi ha  bisogno di un po’ di serenità in questi giorni”. Nel corso della serata che, come abbiamo detto, ha visto la partecipazione di numerosi avvocati tra civilisti e penalisti,  insegnanti, magistrati, artisti è stata anche presentata la battagliera associazione In Oltre divenuta da pochi giorni un’associazione forense. Tra gli invitati c’era anche il presidente del Tribunale di Torre Annunziata, Ernesto Aghina, persona mite ed equilibrata che ha sempre aperto le porte del Tribunale alla difficile comunità in cui si amministra la giustizia ed è sempre stato vicino ad avvocati e magistrati che lavorano in un ambiente molto difficile.

C’erano il Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torre Annunziata, Luisa Liguoro, il Presidente della fondazione Enrico De Nicola, Gennaro Torrese, il Presidente dell’Associazione forense Nicola Di Prisco Antonio Fiordoro, il Presidente dell’AIGA di Torre Annunziata Santolo Sorrentino, il magistrato Francesco Rossetti.

“Inoltre è forse la prima associazione forense composta non solo da avvocati ma da chiunque in questa società voglia contribuire con impegno fattivo  a fare qualcosa per la nostra comunità e a restituirle dignità ed orgoglio, quella stessa dignità ed orgoglio che deve essere riconquistata anche dalla classe forense. È comunque  solo un atto formale che non cambia il DNA dell’impegno che è stato profuso fino ad oggi” ha spiegato l’avvocato Brancaccio, accompagnata in questo battesimo alla guida dell’associazione forense dal marito Antonio Carotenuto, scultore-pittore artista vesuviano a tutto tondo molto quotato per le sue opere esposte in molte gallerie d’arte in Italia e all’estero. L’associazione In Oltre operante sul territorio da diversi anni è conosciuta per aver saputo coniugare e mettere assieme diritto, legalità, etica e società civile. Ha organizzato convegni di rilevante interesse non solo per le materie giuridiche trattate ma per i contenuti etico-sociali analizzati: Sulla libertà di Pensiero con lo scrittore Erri de Luca e il magistrato  Henry John Woodcock, sul problema degli sfratti con il giornalista Domenico Iannacone, autore de I Dieci Comandamenti, sulla correlazione tra inquinamento ambientale e danni alla salute con Padre Maurizio Patriciello,  lo scienziato Antonio Giordano e l’attuale ministro dell’ambiente Sergio Costa. Senza dimenticare quello sulla giustizia e legalità al Sud  con lo scrittore Maurizio De Giovanni ,  il giornalista Francesco Giorgino e Pino Aprile, quello  sulla mafia con il giornalista Paolo Chiariello e il Magistrato Catello Maresca e ancora quello sui migranti con Padre Alex Zanotelli. 

“L’associazione si arricchisce di nuove energie e continuerà ad operare percorrendo il solco già tracciato” ha spiegato il tesoriere, l’avvocato Fiorenzo Tortora, anche lui estremamente felice delle finalità benefiche della serata e della risposta straordinaria della comunità forense e non solo presente al Kobe. 

L’obiettivo che l’associazione si prefigge è quello di riuscire a portare il diritto e la legalità fuori dalle aule del Tribunale e a continuare ad aprire le porte del Palazzo di giustizia alla società civile, in primis agli studenti, affinchè il diritto non resti una entità astratta ma diventi sempre più parte integrante del Paese reale. Saranno attuati incontri formativi – spiegano alla associazione – in diverse scuole del circondario con interventi artistici e performance teatrali che interesseranno varie tematiche dal bullismo alla tutela dell’ambiente, dalla violenza sulle donne alla tutela dei minori e degli emarginati. Si opera senza alcun interesse per il semplice piacere di dare e si accolgono con entusiasmo idee nuove da chiunque provengano senza ostacoli mentali che arruginiscono e frenano.   

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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