“L’oggetto del nostro dialogo non è soltanto l’Europa. Dovremmo piuttosto parlare di Eurafrica”. La frase fu pronunciata nel giugno 1949, in un dibattitto presso il neonato Consiglio d’Europa, da Léopold Sédar Senghor, primo presidente del Senegal dopo l’indipendenza e poeta di grande talento, riconosciuto come uno dei più raffinati politici e intellettuali del XX secolo. Ieri sera a Napoli è stata ripresa da Francescomaria Tuccillo, manager, avvocato e autore di “Afrika. Chiavi d’accesso”, pubblicato di recente dalla giovane e coraggiosa casa editrice partenopea Ebone Edizioni.
Unione Industriale di Napoli. La presentazione del libro organizzata dal gruppo Giovani industriali a piazza dei Martiri
La presentazione del libro si è tenuta presso la sede dell’Unione Industriali Napoli in Piazza dei Martiri. E’ stata organizzata dal suo gruppo Giovani Imprenditori e moderata dal manager Mario Giustino. A fare gli onori di casa è stato Vittorio Ciotola, presidente del gruppo Giovani Imprenditori e vicepresidente di Unione Industriali Napoli, che ha rilevato come “l’Africa sia la nuova frontiera per le PMI italiane, che possono esportare sia prodotti sia cultura industriale e cultura d’impresa”.
Dopo di lui è intervenuta Anna Del Sorbo, vicepresidente Unione Industriali Napoli e presidente Piccola Industria, che ha evidenziato come Napoli sia “baricentro del Mediterraneo” e quindi idealmente posizionata per facilitare le relazioni con i “paesi amici della sponda meridionale”. Proprio a questo è dedicata l’iniziativa dell’Unione Industriali chiamata “I giorni del Sud”, che vuole rafforzare la cooperazione con l’Africa impiegando anche tecnologie avanzate “quali la piattaforma Connext di Confindustria”. Infine Gioia De Simone, consigliere del gruppo Giovani Imprenditori con delega all’Industrializzazione, ha commentato il libro di Francescomaria Tuccillo, sottolineandone la qualità e la pertinenza per chi voglia intraprendere una collaborazione fattiva con i paesi africani.
Grazie al neologismo “Eurafrica”, Tuccillo ha poi trasformato la presentazione in una finestra aperta su prospettive geopolitiche ed economiche nuove per l’Europa. Un’alleanza più forte tra due continenti storicamente affini e divisi solo da 70 chilometri di acque mediterranee sarebbe infatti la naturale risposta alle sfide del nostro tempo.
Le ineguagliate competenze europee associate all’energia, alla gioventù, alla crescita economica e alle risorse africane potrebbero dar vita a un protagonista di assoluto rilievo sullo scenario internazionale, in grado di posizionarsi con pari grado di competitività di fronte all’invadenza delle Americhe e dei giganti asiatici. Inoltre – ha sottolineato Tuccillo – le grandi aree metropolitane europee o “Polis” o “città-regione” (come le definisce uno studio recente dell’Università di Oxford), sempre più decise ad aumentare la propria autonomia, potrebbero in tale contesto stabilire relazioni dirette e fruttuose con le aree metropolitane omologhe di un’Africa dove sta crescendo in maniera rapida il processo di urbanizzazione.
Ad accrescerne l’interesse ha contribuito la presenza dell’imprenditore keniota Abdul Haji, che nella sua testimonianza ha spiegato l’evoluzione decisa del proprio paese (e di molte altre nazioni africane) verso la maturità democratica, la devolution dei poteri centrali e la modernizzazione di servizi, infrastrutture e tecnologie. Il Kenya è uno dei luoghi più avanzati al mondo, ha ricordato Haji, nella digitalizzazione, per esempio in campo bancario. “Voi conoscete tutti la Silicon Valley – ha commentato. – Ma forse dovreste imparare a conoscere anche la “Savana Valley””. Nel suo intervento il giovane imprenditore di Nairobi ha parlato anche a lungo della presenza cinese in Africa e l’ha paragonata, con rammarico, a quella decrescente dell’Europa. Tuttavia, ha ricordato, “i cinesi rispondono alle nostre richieste e ci portano soluzioni rapide. Ma sono distanti da noi nella cultura e nell’approccio. Noi ci vestiamo come voi, abbiamo il vostro stesso sistema educativo, pratichiamo in maggioranza la vostra religione e parliamo lingue europee. L’Europa sarebbe il partner ideale e preferito del nostro sviluppo se agisse con determinazione e con prontezza”.
Altri tre sono stati gli oratori presenti alla serata. Riccardo Maria Monti, già presidente dell’agenzia per il commercio estero ICE e oggi amministratore delegato di Triboo, azienda operante nel campo dei servizi digitali, ha evidenziato ugualmente le grandi potenzialità del mercato africano non solo per i maggiori gruppi industriali ma anche e soprattutto per le piccole e medie imprese, colonna vertebrale della nostra economia, cui ha lanciato un invito. “È certo che internazionalizzarsi è difficile: richiede preparazione, risorse e tempo. Ma è altrettanto certo che il ritorno sull’investimento è enorme” ha spiegato Monti. Dopo di lui ha parlato Leopoldo Gasbarro, direttore di “Wall Street Italia”, che ha posto l’accento sulla demografia africana: l’Africa è il continente più giovane in un mondo che invecchia. La sua età media è di 18 anni contro i 42 dell’Europa e i 45,5 dell’Italia, uno dei paesi più anziani del pianeta. E anche questa giovinezza, sempre più istruita e determinata, rappresenta un punto di forza indubbio nell’avvenire delle terre africane.
Chi scrive ha infine introdotto la serata commentando le pagine di Francescomaria Tuccillo e qualificandole come “tempestive” nei tempi, dato che l’Africa sarà protagonista del nostro futuro, “umanistiche” nel metodo multidisciplinare che adottano e “intelligenti” nei contenuti. Il testo permette infatti a chiunque s’interessi del continente africano di scoprirlo oltre i pregiudizi nelle sue caratteristiche essenziali e nei suoi valori profondi. E, come Tuccillo stesso scrive, questa conoscenza è, tra tutte le “chiavi d’accesso”, la più importante. La presentazione di Napoli è stata volutamente la prima in Italia del libro edito da Ebone. E ha costituito un lancio riuscito, vista la qualità del dialogo con i presenti, che per oltre due ore hanno seguito con assoluta attenzione le presentazioni e posto moltissime domande stimolanti.
Altri incontri seguiranno a breve. Sono previsti per ora a Milano, Udine, Roma e Palermo. “Polis” del nord e del sud del paese tutte interessate, a diverso titolo, a esplorare l’Africa e le molte occasioni che offre a chi sappia capirla.
“Siamo diventati una civiltà di gente che vuol vedere, non sente più, sente male, per mancanza di conoscenza, per ignoranza”. Polemico, anche se “felice di essere qui con i miei giovani musicisti dell’Orchestra Cherubini”, Riccardo Muti ieri sera al Teatro Pergolesi di Jesi, in provincia di Ancona, ha inaugurato le celebrazioni per i 250 anni dalla nascita (avvenuta nella vicina Maiolati) di Gaspare Spontini, con un concerto al termine del quale ha attaccato l’oblio in cui è caduta tanta parte del patrimonio musicale italiano. Un discorso molto politico, “anche se la politica dal podio non si fa”, diretto soprattutto “a chi ha in mano le sorti del nostro Paese” per chiedere più attenzione per la musica, lungo oltre 20 minuti, punteggiato dagli applausi del pubblico.
La musica italiana “ha dominato il mondo con Spontini a Berlino, Mercadante a Madrid, Cherubini a Parigi, Salieri e, ancora prima, Porpora e a Vienna, Cimarosa e Paisiello a San Pietroburgo. I nostri compositori hanno fatto l’Europa, prima dei nostri politici ed economisti”. Muti ha elogiato le Marche, una regione che “ha dato i natali a tantissimi artisti, non solo nel campo dell’architettura e della pittura, ma anche della musica. Voi avete a distanza di pochi chilometri Giovan Battista Pergolesi (nato proprio a Jesi, ndr) e Spontini”. E ha elogiato le due città che “si stanno prodigando per sottolineare l’importanza di questi due giganti della musica”, ma “molte persone non sanno chi sono e questa è una vergogna per noi”. Perché “la musica italiana non è semplicemente l’espressione sguaiata di note acute tenute all’infinito, ma la nostra storia è una storia di nobili e grandi compositori”. Compositori che “hanno fatto l’Europa prima dei nostri politici ed economisti”.
“Pensate che Spontini era un re prima a Parigi e poi a Berlino – ha detto ancora Muti -, e nelle memorie di Wagner si legge che quando Spontini arrivò a Dresda per dirigere La Vestale scese da una carrozza principesca venendo da un’umile casa di Maiolati. Wagner s’inginocchia addirittura davanti a lui”. Due colossi della musica “dimenticati”: “Pergolesi era ammiratissimo da Bach, all’età di 26 anni muore lasciandoci dei capolavori incredibili”. Capolavori raramente eseguiti e lo stesso accade per La Vestale o l’Agnese di Hohenstaufen di Spontini o altre opere. “Va bene il ‘Vincerò’ che dura mezz’ora ed è anche piacevole – ha ironizzato il maestro – ma non rappresenta tutta la nostra musica”. E “se andate a vedere la partitura di Puccini, non esprime ‘ad libitum’ fino a quando tutti quanti, presi da frenetici orgasmi, urlano uau”. “Cosa è successo al nostro Paese? – si è chiesto Muti -. E’ successo che nelle grandi occasioni ci si veste bene, si compare nei palchi e poi si scompare? O dobbiamo metterci in testa che la musica e la storia della musica insegnata bene e portata alle nuove generazioni possa migliorare il futuro del nostro Paese?”.
Tutto queste però “non succede” e per questo il pubblico non sa più ascoltare. “Noi abbiamo in debito verso il nostro passato – si è accalorato -, abbiamo una storia infinita di bellezza e arte che molti ragazzi oggi non conoscono e che sta diventando solamente un’occasione di ascolto per alcuni privilegiati. Non sono un politico, ma con grande malinconia mi avvicino alla fine della vita perché noi non siamo più degni delle radici su cui abbiamo fatto spuntare fiori, o alberi o foglie”. “Verdi rimane il Michelangelo del musica e ha coperto tutto l’Ottocento”. E anche Puccini è rappresentativo di un certo periodo. Ma “quando Spontini scrive la Vestale, dentro c’è tutto quello che poi Wagner prenderà. Questo siamo e questo dovrebbero sapere quelli che guidano l’Italia e questo dovrebbero insegnare a scuola”.
La parola d’ordine è trasparenza. Quella chiesta a gran voce dall’industria culturale e creativa davanti allo sviluppo vertiginoso dell’intelligenza artificiale generativa (IA). L’appello è stato raccolto dall’Ue, che con l’AI Act, appena vidimato dal Parlamento europeo, sta provando a creare uno scudo a tutela di giornalisti, scrittori, musicisti, registi, chi vive insomma della propria creatività. Si parla di professioni che rischiano di essere travolte dalla nuova tecnologia alimentata dal petrolio dell’economia digitale: i dati. Le loro opere – canzoni, libri, reportage, film – sono impiegate sia per addestrare i cosiddetti modelli linguistici di grandi dimensioni, su cui si basano sistemi come ChatGPT, sia per creare opere derivate. Si può ritenere questo processo come una violazione del diritto d’autore? Secondo il New York Times la risposta è affermativa.
In un caso destinato a fare scuola, la Vecchia Signora in Grigio ha portato in tribunale Microsoft e OpenAI, la società nota per aver creato ChatGPT, accusandole di aver copiato e utilizzato illegalmente i suoi articoli per addestrare i modelli di IA. I due colossi tech non hanno rivelato pubblicamente la composizione dei dataset su cui viene istruita la nuova tecnologia. Ed è su questo che interviene l’AI Act. I sistemi come ChatGPT e i modelli su cui si basano dovranno, infatti, soddisfare determinati requisiti di trasparenza e rispettare le norme europee sul diritto d’autore durante le fasi di addestramento dei vari modelli.
“Un passaggio importante” per Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Associazione Italiana Editori (Aie) e di Confindustria Cultura Italia (Cci), secondo cui le richieste del mondo delle industrie culturali e creative “hanno trovato orecchie attente nel governo italiano e in modo trasversale tra gli europarlamentari che hanno votato a favore dell’AI Act”. “La trasparenza – ha evidenziato – è il requisito per poter analizzare criticamente gli output dell’IA e, per chi detiene i diritti, sapere quali opere sono utilizzate nello sviluppo di questi strumenti, se provengono da fonti legali e se l’uso è stato autorizzato”.
Ma la strada è ancora lunga. La legge europea è solo “un primo passo per far valere i propri diritti”, ha commentato un’ampia coalizione di organizzazioni dei settori creativi e culturali europei, esortando a mettere in pratica “queste importanti norme in modo significativo ed efficace”. A fare la differenza sarà l’attuazione della normativa, la definizione degli standard, ma anche la previsione di una policy a tutela del diritto d’autore che affronti ad esempio la questione della remunerazione dei detentori dei diritti per l’uso di opere coperte da copyright.
Dopo Pesaro per il 2024 e Agrigento per il 2025 è l’Aquila la città scelta come capitale italiana della cultura 2026. A proclamarla è stato il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano nel corso della cerimonia che si è svolta a Roma, nella Sala Spadolini del ministero, alla presenza della giuria presieduta da Davide Maria Desario e composta da Virginia Lozito, Luisa Piacentini, Andrea Prencipe, Andrea Rebaglio, Daniela Tisi, Isabella Valente, e dei rappresentanti di tutte e dieci le città finaliste: oltre all’Aquila, Agnone (Isernia), Alba (Cuneo), Gaeta (Latina), Latina, Lucera (Foggia), Maratea (Potenza), Rimini, Treviso, Unione dei Comuni Valdichiana Senese (Siena). “L’Aquila è una città ricca di storia e di identità e merita certamente di essere capitale della cultura” dice parlando con i giornalisti Sangiuliano, che ricorda anche come la commissione sia “assolutamente autonoma e indipendente dalla mia persona”. Il ministro avrebbe voluto dare “questo riconoscimento a tutte le città che erano candidate, questo purtroppo non era possibile. Adesso studieremo un modo per coinvolgerle in questo momento”.
L’Aquila “si avvia a celebrare i 15 anni del terremoto – commenta il sindaco della città Pierluigi Biondi -. Essere capitale italiana della cultura non è un risarcimento, ma rappresenta un elemento attorno a cui ricostruire il tessuto sociale della nostra comunità”. La cultura “è un elemento fondante, è recupero dell’identità e proiezione nel futuro – aggiunge – . Le altre città finaliste saranno parte di questo percorso. Vi garantiamo che saremo all’altezza del compito che ci assegnate… viva l’Italia”. Il progetto presentato dal capoluogo abruzzese è intitolato ‘L’Aquila Città multiverso’ ed è “un ambizioso programma di sperimentazione artistica per la creazione di un modello di rilancio socio-economico territoriale a base culturale, capace di proiettarla verso il futuro seguendo i quattro assi della Nuova Agenda Europea della Cultura: coesione sociale, salute pubblica benessere. creatività e innovazione, sostenibilità socio-ambientale”, si legge nelle linee guida. “Siamo molto felici, è un altro segno di rinascita dell’Abruzzo – commenta Marco Marsilio, appena confermato alla presidenza della Regione -. Sapevamo di essere molto competitivi e che il dossier presentato era eccellente. La giuria lo ha riconosciuto”. Il progetto dell’Aquila “ci ha convinto per la sua qualità, ma anche per aspetti come il budget, la capacità di includere per tutto l’anno i territori e per il coinvolgimento dei giovani” spiega Davide Maria Desario, presidente della giuria. Ognuno dei progetti delle città finaliste “rappresenta l’emblema dell’Italia come vorremmo che fosse, l’Italia del fare”. Per questo Desario torna a lanciare la proposta (poi accolta dal ministro, ndr) “che oltre oltre al premio alla città vincitrice si integri il bando con un riconoscimento anche alle altre finaliste”. Fra le reazioni alla vittoria, prevalgono le congratulazioni da parte delle altre città finaliste ma si solleva anche qualche polemica.
“A pensar male si fa peccato ma, come dice l’adagio, spesso si indovina. O forse è solo un caso che, a pochi giorni, dalle elezioni regionali in Abruzzo il titolo sia stato conferito proprio a La città de L’Aquila?” si chiede in una nota il deputato del Pd Andrea Gnassi, ex sindaco di Rimini. Critico anche l’attuale sindaco della città romagnola Jamil Sadegholvaad che fa i complimenti a L’Aquila ma parla di “invasioni di campo preventive scomposte anche da parte di chi dovrebbe essere super partes” nella competizione. Il nostro auspicio “è che Rimini e la Romagna alluvionata possano essere Capitale italiana della cultura l’anno successivo – commenta il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini -, a partire proprio dall’alluvione senza precedenti del maggio 2023 da cui hanno saputo subito risollevarsi e ripartire”. Invece il consigliere regionale del Movimento 5 Stelle del Molise Andrea Greco oltre a esprimere il rammarico per la sconfitta di Agnone (Isernia) che era tra le dieci finaliste, critica Bruno Vespa, che avrebbe dimostrato “una meno che sufficiente caratura giornalistica” per l’endorsement a L’Aquila che avrebbe fatto sulla tv pubblica alla vigilia della designazione: “E’ stato per lo meno spiacevole per non utilizzare altri termini”.