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Abu Mazen chiude conti con Israele, sospende accordi e fa arrabbiare Trump

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Abu Mazen chiude i conti con Israele. In un acceso discorso pronunciato la scorsa notte a Ramallah, al termine di una riunione urgente della leadership politica, il presidente dell’Autorita’ nazionale palestinese (Anp) ha annunciato di aver deciso di “smettere di lavorare secondo gli accordi firmati con Israele” visto che – ha accusato – lo Stato ebraico li viola a sua volta da tempo. Ha menzionato fra l’altro l’espansione degli insediamenti e la confisca di terre (“ci hanno imposto un regime di apartheid”), il rafforzamento del carattere ebraico a Gerusalemme est, la demolizione di case palestinesi a Gerusalemme est (“una pulizia etnica, un crimine contro l’umanita’”) ed il congelamento di fondi destinati all’Anp. Ancora una volta ha affrontato a viso aperto la diplomazia statunitense, che gli appare del tutto schierata con Israele. “La Palestina e Gerusalemme non sono in vendita”, ha esclamato respingendo ancora una volta il cosiddetto ‘Accordo del secolo’ elaborato dai collaboratori di Donald Trump. Ma ha confermato invece il desiderio palestinese di un accordo di pace negoziato. L’Anp prevede adesso una sospensione degli accordi gia’ firmati con Israele, incluso il protocollo di Parigi (1994) sui legami economici bilaterali. Ma Abu Mazen ha immediatamente avvertito che questa svolta politica – decisa sulla scia della collera popolare innescata dalle recenti demolizioni a Gerusalemme est di 12 edifici palestinesi con 70 appartamenti – richiede cautela. Per questa ragione, ha aggiunto, ha ordinato la costituzione di comitato che metta a punto meccanismi adeguati per recedere in forma ordinata dagli accordi. Per ora non se ne conosce la composizione, ne’ si sa se abbia limiti di tempo precisi per sottoporre le proprie conclusioni al Presidente, che nel frattempo e’ partito per la Tunisia per partecipare alle esequie del suo omologo Beji Caid Essebsi. Abu Mazen si e’ cosi’ lasciato un comodo margine di manovra per decidere fino a che punto spingere la crisi con Israele (che finora non ha espresso alcun commento) e per decidere in che misura diluire i rapporti bilaterali. Secondo la radio pubblica israeliana Kan avrebbe gia’ ordinato di ridurre “al minimo necessario” la cooperazione di sicurezza con Israele. Un provvedimento che era gia’ stato adottato due anni fa e che poi era stato gradualmente annullato. Dalle caute dichiarazioni di esponenti politici palestinesi e’ emersa la sensazione che la riduzione delle relazioni con Israele sia una carta di scambio che Abu Mazen intende giocare a livello internazionale per ottenere concessioni dal governo di Benyamin Netanyahu. Ad esempio, la fine del parziale congelamento dei dazi doganali e delle tasse raccolte da Israele per l’Anp, che grava sulla economia palestinese. In ogni caso, ha chiarito l’ex ministro palestinese Ashraf al-Ajrami “non si tratta di una rottura totale. Nessuno pensa all’annullamento degli accordi di Oslo”.

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Cina: infondate le accuse Usa di supporto militare a Mosca

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La Cina ha definito “infondate le accuse degli Usa sul sostegno militare” di Pechino alla Russia, impegnata nella sua guerra contro l’Ucraina. E’ quanto ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Wang Wenbin, nell’imminenza della visita del segretario di Stato americano Antony Blinken.

Gli Stati Uniti, ha aggiunto Wang nel briefing quotidiano, “hanno presentato una legge sugli aiuti su larga scala per l’Ucraina, lanciando allo stesso tempo accuse infondate contro il normale commercio tra Cina e Russia. Questo tipo di approccio è estremamente ipocrita e del tutto irresponsabile, e la Cina vi si oppone con fermezza”. Sulla questione ucraina, “la Cina ha sempre mantenuto una posizione obiettiva e giusta, ha sostenuto attivamente i colloqui di pace e ha spinto per la soluzione politica”, ha rincarato Wang, per il quale Pechino “implementa costantemente le normative sull’esportazione di beni a duplice uso.

La Cina non è né artefice né parte della crisi ucraina e non ha mai gettato benzina sul fuoco e per questo con accetteremo che altri scarichino la responsabilità o diano la colpa a noi”. Negli ultimi anni, in particolare dall’aggressione di Mosca all’Ucraina di febbraio 2022, Cina e Russia hanno intensificato la cooperazione economica e i contatti diplomatici, portando la loro partnership strategica a livelli elevati, mai raggiunti prima. Pechino ha rivendicato un ruolo neutrale nel conflitto ucraino, ma evitato condanne di Mosca e ha offerto sostegno diplomatico ed economico, facendo schizzare l’interscambio commerciale nel 2023 al record di 240 miliardi di dollari.

Prima dell’imminente visita in Cina del 24-26 aprile, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha detto che Pechino sta indirettamente alimentando la guerra in Ucraina con la fornitura di componenti a Mosca usati per espandere le sue capacità militari. “Quando si tratta della base industriale della difesa russa, il principale contributore in questo momento è la Cina”, ha detto Blinken venerdì, dopo l’incontro ministeriale del G7 a Capri, aggiungendo che ciò “permette alla Russia di continuare l’aggressione contro l’Ucraina”.

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Musk rifiuta di eliminare da X video dell’attacco a Sidney

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Elon Musk ha reagito all’ordine di un tribunale australiano di eliminare da X i video dell’attacco nella chiesa di Sidney dopo che il commissario per la eSafety dell’Australia ha chiesto un’ingiunzione. Il miliardario patron di Tesla ha risposto con un post sulla sua piattaforma accusando il premier Anthony Albanese di “censura”. “La nostra preoccupazione è che se qualsiasi Paese è autorizzato a censurare i contenuti di tutti i paesi, allora cosa impedirà a qualsiasi paese di controllare Internet?”

Musk ha detto che X farà appello contro l’ingiunzione australiana. “Abbiamo già censurato il contenuto in questione per l’Australia, in attesa di ricorso legale, ed è archiviato solo su server negli Stati Uniti”, ha aggiunto. Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha affermato che Musk è cieco di fronte all’angoscia causata dai video. “Faremo ciò che è necessario per affrontare questo miliardario arrogante che pensa di essere al di sopra della legge, ma anche al di sopra della comune decenza”, ha detto Albanese all’emittente pubblica Abc. “L’idea che qualcuno vada in tribunale per il diritto di pubblicare contenuti violenti su una piattaforma mostra quanto il signor Musk sia fuori dal mondo”, ha aggiunto.

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L’ambientalista indigeno Victorio Dariquebe assassinato nell’Amazzonia peruviana

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Un ambientalista indigeno, Victorio Dariquebe, è stato assassinato in una comunità amazzonica del Perù sudorientale dove lavorava come guardia forestale: lo riferiscono le autorità locali. L’uomo, dell’etnia Harakbut-Wachiperi, è stato aggredito nei pressi della riserva naturale di Amarakaeri, nella provincia di Manú.

“Riaffermiamo il nostro impegno affinché questo crimine non rimanga impunito e i responsabili siano individuati e ricevano tutto il peso della legge”, ha affermato il governo peruviano in una dichiarazione firmata da diversi ministeri. L’ambientalista “ha fatto un ottimo lavoro nella conservazione della riserva di Amarakaeri”, ha sottolineato l’Associazione interetnica della giungla peruviana (Aidesep) in un comunicato sui social, secondo cui Dariquebe “aveva ricevuto minacce”.

I popoli originari del Perù combattono l’estrazione illegale e si oppongono a una recente legge approvata dal Congresso che, a loro avviso, incoraggia la deforestazione. Secondo l’ong Global Witness, dal 2012 nel Paese sono stati uccisi almeno 54 difensori delle terre e dell’ambiente, di cui più della metà appartenevano a popolazioni indigene.

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