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Cronache

A Terzigno case demolite a persone truffate, a Capri le ruspe si fermano perchè c’è emergenza abitativa: lo Stato barzelletta a Napoli

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La storia delle demolizioni delle abitazioni abusive di Terzigno è una vergogna di Stato. Da qualunque angolazione la si voglia vedere, questa vicenda è una vergogna. E siccome chi scrive ha rispetto sacro per lo Stato, spiego perchè uso la parola vergogna. Intanto diciamo che è stata consumata una violenza su soggetti deboli. Le abitazioni le abbiamo prima sgomberate con  la forza pubblica, poi le abbiamo chiuse con la forza, quindi le abbiamo demolite con la forza. Se fossimo stati davanti ad una speculazione edilizia di palazzinari, avrei capito lo sfoggio di muscoli e la celerità delle demolizioni. Anzi, avrei preteso che lo Stato si facesse rispettare e imponesse la legge subito. Ma quelle case, come tutti gli organi dello Stato sapevano, quando sono state acquistate da quelle famiglie non erano abusive. Erano case realizzate da un imprenditore e vendute con licenze edilizie. Ora chi ha investito tutti i suoi risparmi per una casa acquistata incautamente perchè poi si è scoperto che quelle licenze erano fasulle, come minimo avrebbe diritto ad un trattamento diverso rispetto ai palazzinari. Non solo. C’è da aggiungere a quanto già detto che le storie di quelle case e delle famiglie che le avevano acquistate erano note. Come era nota anche la sciatteria o la sottovalutazione di chi avrebbe dovuto difendersi meglio in giudizio.

Lo Stato, però, sapeva di aver attivamente collaborato con quanti avevano creato ogni condizione per truffare quelle povere famiglie che oggi si ritrovano in mezzo ad una strada, senza casa, senza soldi, senza sogni, senza speranza e senza alcuna fiducia nelle istituzioni. E se non lo sapeva, glielo ricordiamo oggi. Perchè non si può avere fiducia nelle istituzioni se uno compra una casa davanti ad un notaio (ufficiale di Stato), con tutti i documenti in regola, addirittura con mutui di banche che pure vengono concessi per acquisto immobili solo in presenza di compravendite di immobili commerciabili e non abusivi… e poi quella casa te la demoliscono. C’è persino una casa che un povero cristo ha comprato all’asta del Tribunale. Cioè, per quanto possa sembrare ridicolo, divertente, c’è una famiglia alla quale lo Stato ha demolito la casa che un Tribunale della Repubblica gli ha venduto all’asta in un fallimento. Ora davanti a questo scuorno che grida vendetta, come si può avere fiducia nello Stato? Come faranno queste persone a non guardare lo Stato come se fosse un malfattore? Come si fa ad avere fiducia in chi si dimostra forte con i deboli ed è debole con i forti?  Non si poteva fare a Terzigno come hanno fatto ad Anacapri, dimostrando qui, su questa isola bellissima, che esiste ancora la Politica che si assume delle responsabilità? Il Consiglio comunale di Anacapri (in provincia di Napoli, non nel Burundi) ha votato oggi una deliberazione per il mantenimento di un immobile abusivo situato in via Lo Funno, una zona di Anacapri lontana dal centro abitato. A scanso di equivoci non è un mega-villone con piscina e vista sui Faraglioni per ricchisfondati ma una casa qualunque manco in una zona di pregio che non sfregia il paesaggio. Parliamo di  un’abitazione che era oggetto di un ordine di demolizione. Era ed è abusiva. Non poteva essere costruita. Che cosa hanno fatto ad Anacapri? Per evitare sull’isola un’emergenza abitativa, il Consiglio comunale ha quindi dichiarato la prevalenza per l’interesse pubblico della casa in questione, così come prevede la legge regionale numero 5 del 2013. Francesco Cerrotta, vicesindaco di Anacapri, che ha redatto la proposta, dopo il voto favorevole del Consiglio, ha detto: “Nel territorio comunale di Anacapri esiste una situazione di grave difficoltà dei nuclei familiari nel reperire alloggi, se non a canoni elevati. Nasce da qui l’esigenza di destinare gli immobili da abbattere alle finalità dell’edilizia residenziale e sociale”. E dunque ad Anacapri niente carabinieri, niente polizia, niente famiglie buttate in mezzo ad una strada, niente demolizioni. E parliamo di una vicenda diversa da quella di Terzigno dove le case quando sono state acquistate non erano abusive.

Sempre a Terzigno accade un’altra cosa indegna di un Paese civile. Quelle persone che ora sono senza più casa, senza più soldi, senza più nulla, avrebbero anche loro diritto anche loro ad una soluzione abitativa, ad un alloggio provvisorio, ad una sistemazione decorosa? Immaginiamo di sì! Perchè se diamo ospitalità a chi viene dall’altra parte del mondo ed è in difficoltà, immaginiamo possiamo e dobbiamo garantire analoga ospitalità a chi in Italia (perchè Terzigno è Italia) ci è nato e ci vive da generazioni. Ecco perchè uno Stato così se non è una vergogna, di sicuro è qualcosa che viene percepito come nemico. La lotta all’abusivismo edilizio si fa chiudendo i cantieri abusivi subito, facendo rispettare la legge prima che vengano commessi abusi, controllando il territorio, rendendo gli immobili non commerciabili. La guerra ai deboli invece si fa come è stato fatto a Terzigno: schiacciando 14 famiglie inermi che hanno commesso un reato gravissimo: sono stati truffati. E lo Stato per aiutarli li ha mazziati. Ecco, cornuti e mazziati.

 

Giornalista. Ho lavorato in Rai (Rai 1 e Rai 2) a "Cronache in Diretta", “Frontiere", "Uno Mattina" e "Più o Meno". Ho scritto per Panorama ed Economy, magazines del gruppo Mondadori. Sono stato caporedattore e tra i fondatori assieme al direttore Emilio Carelli e altri di Sky tg24. Ho scritto libri: "Monnezza di Stato", "Monnezzopoli", "i sogni dei bimbi di Scampia" e "La mafia è buona". Ho vinto il premio Siani, il premio cronista dell'anno e il premio Caponnetto.

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Sindaco di Avellino Festa arrestato, indagati la vice sindaco Nargi e un consigliere comunale

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Arresto per il sindaco dimissionario di Avellino, Gianluca Festa. L’ex esponente del Pd e’ coinvolto in un’indagine per peculato e induzione indebita a dare e promettere utilita’ ed e’ ora ai domiciliari insieme a un architetto, fratello di un consigliere comunale, Fabio Guerriero e a una dirigente del Comune. I carabinieri, titolari dell’indagine della procura di Avellino, hanno anche eseguito perquisizioni a carico del vicesindaco Laura Nargi, del consigliere Diego Guerriero, capogruppo Viva la Liberta’, lista civica a sostegno di Festa, e fratello di Fabio e dei fratelli Canonico, presidente e commercialista della DelFes, squadra di basket serie B.

Al centro delle indagini c’e’ proprio la squadra di basket di serie B, riconducibile a Festa. Per gli inquirenti, ha ottenuto sponsorizzazioni da imprese che erano assegnatarie di appalti e affidamenti dal Comune di Avellino. Gli inquirenti ipotizzano per questo che esista un’associazione a delinquere.

La sua piu’ grande passione e’ il basket. Gianluca Festa, 50 anni, sindaco di Avellino dal giugno del 2019, si e’ dimesso il 25 marzo quando la procura di Avellino gli ha perquisito casa e ufficio. E proprio nel corso della comunicazione della notizia alla stampa, fece riferimento al suo amato basket, e al fatto che quanto li contestava la procura era relativo alla pallacanestro. Quando venne eletto, infatti, la squadra della citta’, lo storico club Scandone, fondato nel 1948 e per 20 anni in serie A, era fallito. Lui vi aveva giocato come titolare nel 1995. Uno smacco per Avellino e i tifosi, quel fallimento, e cosi’, pur di salvare la pallacanestro, Festa verso’ 20 mila euro dal suo conto corrente per garantire l’iscrizione di una squadra irpina al campionato di serie B. Ora Festa e’ ai domiciliari, indagato tra gli altri insieme all’amministratore delegato della squadra, la Delfes, Gennaro Canonico per presunti appalti pilotati al Comune di Avellino per i reati di corruzione, associazione a delinquere, turbativa d’sta e falso in atto pubblico. Alcune delle imprese che si sono aggiudicate gli appalti hanno anche sostenuto economicamente la societa’ di basket. “Non c’e’ niente perche’ non c’e’ mai stato niente e anche dalle perquisizioni non e’ emerso nulla. Chi pensava che questa fosse una bomba, si e’ ritrovato in mano una miccetta. E se qualcuno pensava di poter condurre con questi argomenti la campagna elettorale che si avvicina, ha sbagliato. Perche’ noi siamo persone perbene e aspetteremo l’esito delle indagini. Che non porteranno a nulla”, aveva detto Festa all’indomani delle perquisizioni.

È sempre d’uopo ricordare che le azioni dei Pm sono esercizi dell’azione penale obbligatoria ma non sono sentenze di condanna e che per gli attuali indagati c’è il principio di non colpevolezza fino al terzo grado di giudizio.

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Uccisero il padre violento, nuova condanna per i figli

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Sono stati condannati di nuovo i fratelli Scalamandrè per l’omicidio del padre Pasquale, indagato per maltrattamenti nei confronti della madre, avvenuto il 10 agosto del 2020 al culmine di una lite nella loro abitazione a Genova. La Corte d’Assise d’appello di Milano, davanti alla quale si è celebrato il processo di secondo grado ‘bis’, ha confermato la sentenza di primo grado: 21 anni di reclusione per Alessio e 14 per Simone. I due uomini, che oggi hanno 32 e 24 anni, sono accusati di avere ucciso il genitore 63enne colpendolo diverse volte con un mattarello dopo che lui si era presentato a casa loro per chiedere al maggiore di ritirare la denuncia nei suoi confronti. I giudici genovesi, in appello, avevano confermato i 21 anni di pena per Alessio, decidendo invece di assolvere Simone.

La Corte di Cassazione, però, lo scorso novembre aveva annullato con rinvio entrambe le sentenze, stabilendo che il nuovo processo si sarebbe svolto a Milano in quanto a Genova esiste una sola Corte d’Assise d’appello e gli imputati non possono essere giudicati due volte dagli stessi giudici. Per il caso del fratello maggiore, nell’annullare la decisione, gli Ermellini avevano tenuto conto della decisione della Corte Costituzionale che aveva decretato l’illegittimità dell’articolo del Codice Rosso che impediva di far prevalere le attenuanti generiche sull’aggravante di un delitto commesso in ambito familiare, e del ricorso dei difensori che invocavano l’attenuante della provocazione.

Nell’annullamento del verdetto nei confronti di Simone, invece, la Cassazione aveva invitato i giudici meneghini a motivare adeguatamente un’eventuale nuova sentenza di assoluzione. La Procura generale di Milano aveva chiesto 8 anni e mezzo per il fratello più giovane e una pena a 11 anni per l’altro, concordata con la difesa. Per quest’ultimo gli avvocati Nadia Calafato e Riccardo Lamonaca avevano invece chiesto l’assoluzione perché, a quanto hanno detto in aula, il ragazzo “non è l’autore materiale, assieme al fratello, dell’omicidio”.

“È un momento difficile, molto negativo”, ha osservato fuori dall’aula l’avvocato Lamonaca, sottolineando che “sicuramente” non sono state riconosciute l’attenuante della provocazione né la prevalenza di quelle generiche. “Le sentenze non si commentano, ma si impugnano. Cercheremo di cambiare ancora una volta questa sentenza. Non è ancora quella definitiva”. Entrambi i fratelli erano presenti alla lettura del dispositivo. Il giorno dell’omicidio erano stati i due fratelli a chiamare la polizia e raccontare l’accaduto, spiegando che i colpi mortali erano arrivati al culmine di una lite che si era trasformata in colluttazione. Alessio lo aveva infatti denunciato per maltrattamenti e minacce nei confronti della madre, che era stata costretta a trasferirsi in una comunità protetta.

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Test omosessualità a poliziotto della penitenziaria, ministero condannato

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Prima un procedimento disciplinare con una serie di “domande ambigue” sul suo orientamento sessuale. Poi addirittura un test psichiatrico per verificare se fosse o non fosse gay. È il calvario denunciato da un agente di polizia penitenziaria che alcuni giorni fa, dopo più di un anno di battaglie a colpi di carte bollate, ha vinto una causa dal Tar del Piemonte ottenendo un risarcimento di 10 mila euro per “danno morale”.

La somma è stata messa in carico al ministero della Giustizia. A originare il caso fu la segnalazione di due detenuti: “quel poliziotto fa le avances”. Era tutto falso. Ma nel frattempo l’agente venne spedito alla Commissione medica ospedaliera di Milano per sottoporsi a controlli psichiatrici: l’obiettivo era accertare la sua idoneità al servizio. Ed è qui il punto: l’amministrazione, che nel corso del procedimento giudiziario si è giustificata sostenendo che il dipendente manifestava “stati di ansia”, secondo i giudici “operò una sovrapposizione indebita” fra omosessualità (effettiva o meno non ha importanza) e “disturbo della personalità”. Una decisione “arbitraria e priva di fondamento tecnico-scientifico”.

Alla fine l’agente fu prosciolto in sede disciplinare e, dopo i test, dichiarato perfettamente in grado di svolgere il proprio lavoro. Ma per l’Osapp, il sindacato di polizia penitenziaria che gli ha fornito l’assistenza legale, resta la gravità di accuse “ingiuste, anacronistiche e degne di un clima da Santa inquisizione”. “Alle tante incongruenze e incapacità constatate negli organi dell’amministrazione – dice il segretario generale, Leo Beneduci – non credevamo di dover aggiungere l’omofobia”.

Secondo il senatore Ivan Scalfarotto (Italia viva) la vicenda “illustra meglio di mille trattati l’idea strisciante, e assai più diffusa di quel che si creda, che le persone gay e lesbiche non siano proprio come le altre, non propriamente degne come tutte le altre”. I giudici ricordano che nel ricorso (depositato il 27 dicembre 2022) l’agente lamentò di “essere stato deriso ed emarginato dai colleghi, per lo più uomini, in ragione delle proprie vicissitudini”, tanto che chiese e ottenne il trasferimento in un altro carcere, dal Piemonte alla Puglia. Ma per questo capitolo non hanno riconosciuto il diritto a un risarcimento.

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